LA CORTE DEI CONTI 
         Sezione regionale di controllo per l'Emilia-Romagna 
 
    composta dai magistrati: 
        dott. Marco Pieroni, Presidente; 
        dott. Massimo Romano, consigliere; 
        dott. Paolo Romano, consigliere; 
        dott. Alberto Stancanelli, consigliere (relatore); 
        dott. Tiziano Tessaro, consigliere (relatore); 
        dott. Federico Lorenzini, primo referendario, 
ha pronunciato la seguente ordinanza nel  giudizio  di  parificazione
del rendiconto generale della Regione Emilia-Romagna per  l'esercizio
finanziario 2018. 
    Visti gli articoli 3,  36,  81,  97,  100,  secondo  comma,  101,
secondo comma, 103, secondo comma, 108, 117, secondo  comma,  lettere
l) e o), 119, primo comma, e 134 della Costituzione; 
    Visto l'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1; 
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; 
    Visto il testo unico delle leggi sulla Corte dei conti, approvato
con regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214 e successive modificazioni; 
    Visto il decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174,  convertito,  con
modificazioni, dalla legge 7 dicembre 2012, n. 213; 
    Vista la  nota  del  7  maggio  2019  con  la  quale  la  Regione
Emilia-Romagna ha comunicato l'avvenuta pubblicazione del progetto di
legge sul rendiconto 2018, completo del conto economico e dello stato
patrimoniale, unitamente  alla  relazione  sulla  gestione,  sul  BUR
(Bollettino Ufficiale della Regione) - Supplemento speciale 267 del 6
maggio 2019; 
    Visto il resoconto della riunione dell'8 luglio 2019 tenuta con i
rappresentanti della Regione per discutere,  in  contraddittorio,  le
osservazioni dei Magistrati istruttori; 
    Vista l'ordinanza n. 34 dell'8 luglio 2019 con cui il  Presidente
della  Sezione  regionale  di  controllo  per   l'Emilia-Romagna   ha
convocato la Sezione per il giorno 16 luglio 2019 per il giudizio  di
parificazione del rendiconto generale  della  Regione  Emilia-Romagna
per l'esercizio finanziario 2018; 
    Vista la requisitoria della Procura regionale presso  la  Sezione
giurisdizionale per la Regione Emilia-Romagna del 16 luglio 2019; 
    Vista la decisione  n.  47/PARI/2019  con  la  quale  la  Sezione
regionale  di   controllo   per   l'Emilia-Romagna   ha   parificato,
parzialmente, il rendiconto per l'esercizio  finanziario  2018  della
Regione Emilia-Romagna; 
    Vista  l'ordinanza  istruttoria  del  Presidente  della   Sezione
regionale di controllo per l'Emilia-Romagna n. 35 del 16 luglio 2019; 
    Vista la memoria  depositata  dalla  Procura  presso  la  Sezione
giurisdizionale regionale dell'Emilia-Romagna in data 24 luglio 2019; 
    Vista la memoria depositata dalla Regione Emilia-Romagna in  data
23 luglio 2019; 
    Uditi i  relatori  Cons.  Alberto  Stancanelli  e  Cons.  Tiziano
Tessaro; 
    Uditi i rappresentanti della Regione; 
    Udito il Procuratore presso la Sezione giurisdizionale  regionale
per l'Emilia-Romagna; 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. Con nota n. 3709 del 7 maggio 2019, la Regione  Emilia-Romagna
ha comunicato la pubblicazione  del  Progetto  di  legge  «Rendiconto
generale della  Regione  Emilia-Romagna  per  l'esercizio  2018»  sul
bollettino ufficiale  della  Regione,  ai  fini  della  parifica,  il
rendiconto generale della Regione per l'esercizio 2018, completo  del
conto economico e dello stato patrimoniale, unitamente alla relazione
sulla gestione e al disegno di legge di approvazione del rendiconto. 
    2. L'esame della documentazione, trasmessa alla  Corte,  pone  in
evidenza come, nell'esercizio 2018,  la  Regione,  nell'ambito  della
facolta'  di  accantonamento  di  fondi  per  passivita'   potenziali
attribuita  dall'art.  46,  comma  3,  del  decreto  legislativo   n.
118/2011, ha costituito due ulteriori nuovi accantonamenti: il  Fondo
per l'integrazione regionale all'indennita' di  fine  servizio  e  il
Fondo per spese elettorali. 
    2.1.  In  particolare,  occorre   considerare   il   «Fondo   per
l'integrazione regionale all'indennita' di fine servizio»,  spettante
ai sensi dell'art. 15, comma 3, della legge regionale 30 aprile 2015,
n. 2 secondo i termini e  le  modalita'  gia'  previste  della  legge
regionale 14 dicembre 1982, n. 58, di cui alla Missione 20  «Fondi  e
accantonamenti», Programma 3, «Altri  fondi»,  allocato  al  capitolo
U89360  «Fondo  di  accantonamento   per   l'integrazione   regionale
all'indennita' di fine servizio» del conto consuntivo 2018, che  alla
data  del  31  dicembre  2018  reca   la   disponibilita'   di   euro
9.516.000,00. 
    Dalla documentazione acquisita agli atti e  dalla  interrogazione
del sistema informatico, e' emerso che tali risorse afferiscono ad un
apposito   trattamento   previdenziale   di   fine    servizio    che
l'amministrazione regionale ha previsto, a  carico  del  bilancio,  a
favore dei propri dipendenti contemplato dalla normativa regionale di
cui appresso. 
    2.1.1. La legislazione regionale autorizzatoria  della  spesa  e'
rinvenibile: 
      nell'art. 1 della legge regionale 14 dicembre 1982, n. 58; 
      nell'art. 15 della legge regionale 30 aprile 2015, n. 2, il cui
comma 3, in  particolare,  stabilisce  che  «La  legge  regionale  14
dicembre 1982, n. 58 (Omogeneizzazione del trattamento di  previdenza
del  personale  regionale),  e'  abrogata.   Resta   salva   la   sua
applicazione ai dipendenti che abbiano maturato,  prima  dell'entrata
in vigore della presente legge, il requisito di un anno  di  servizio
di cui all'art. 1, comma terzo della legge regionale n. 58 del 1982»; 
      nell'art. 8 della  legge  regionale  29  luglio  2016,  n.  13,
concernente  «Interpretazione  autentica  dell'art.  15  della  legge
regionale n. 2 del 2015», a mente del quale «Il secondo  periodo  del
comma 3 dell'art. 15 della legge  regionale  30  aprile  2015,  n.  2
(Disposizioni collegate  alla  legge  finanziaria  per  il  2015)  si
interpreta nel senso che la salvaguardia si applica ai dipendenti  in
servizio presso l'amministrazione regionale alla data di  entrata  in
vigore della norma stessa». 
    2.1.2. La citata legge regionale n. 58/1982, che  costituisce  il
presupposto autorizzativo di legge sostanziale, sulla base  dell'art.
15, comma 3, della l.r. n. 2/2015 prevedeva per  i  dipendenti  della
Regione,  fino  all'entrata  in  vigore  di  una  diversa  disciplina
generale dell'indennita' di fine servizio per tutto  il  settore  del
pubblico impiego (art. 1,  primo  comma,  della  legge  regionale  n.
58/1982), l'erogazione per ogni anno di servizio  di  un  trattamento
previdenziale (indennita' di fine servizio) pari a 1/12  dell'80  per
cento dell'ultima retribuzione mensile lorda.  La  Regione  poneva  e
pone a proprio carico l'eventuale differenza fra la somma lorda cosi'
determinata  (assunta  a  minuendo)  e  quella   lorda   (assunta   a
sottraendo), corrisposta a titolo di indennita' premio  servizio,  di
indennita' di buonuscita, di indennita' di  anzianita',  o  ad  altro
analogo titolo, dalla stessa Regione e dall'ente presso il quale  era
instaurato il rapporto previdenziale (art. 1,  secondo  comma,  legge
citata). 
    La legge regionale n. 58 del 1982  -  che  avrebbe  dovuto  avere
vigenza  «fino  all'entrata  in  vigore  di  una  diversa  disciplina
generale dell'indennita' di fine servizio per tutto  il  settore  del
pubblico impiego» - ha mantenuto vigenza fino al 2015,  quando  detta
legge e' stata abrogata dall'art. 15, comma 3, della legge  regionale
30 aprile  2015,  n.  2,  che  ne  ha  mantenuto  l'applicazione  ai'
dipendenti che avessero maturato il requisito di un anno di  servizio
alla sua data di entrata in vigore. 
    Successivamente, con l'art. 8 della  legge  regionale  29  luglio
2016, n. 13, di interpretazione autentica, e' stato previsto che  «il
secondo periodo del comma 3 dell'art. 15  della  legge  regionale  30
aprile 2015, n. 2 (Disposizioni collegate alla legge finanziaria  per
il 2015) si interpreta nel senso che la salvaguardia  si  applica  ai
dipendenti in servizio presso l'amministrazione regionale  alla  data
di entrata in vigore della norma stessa». 
    2.2. Sul piano contabile,  emerge  dall'acquisizione  istruttoria
che, nell'esercizio 2018, e' stato costituito per la prima  volta  il
predetto Fondo al cap. U89360 con una dotazione pari a 9,516  mln  di
euro, somma quantificata sulla base del maturato al 31 dicembre 2017,
al netto delle anticipazioni erogate, per tutti i dipendenti che  nel
2018 avessero diritto, secondo i criteri applicativi  adottati  dalla
Regione, all'integrazione. 
    Le ulteriori acquisizioni istruttorie  hanno  dimostrato  che  le
risorse a cio' destinate afferiscono  a  due  distinti  capitoli:  il
fondo viene stanziato al gia' citato capitolo U89360,  ed  assume  la
denominazione di fondo di accantonamento per l'integrazione regionale
all'indennita' di fine servizio, mentre  la  concreta  movimentazione
degli  impegni  afferisce  al  capitolo  U04150   (denominato   oneri
dipendenti dalla integrazione regionale della  indennita'  premio  di
servizio   Inadel   e   della   indennita'   di   buonuscita    Enpas
dall'anticipazione della suddetta integrazione, dalla  corresponsione
della indennita' premio di servizio ai personale  per  il  quale  non
opera la ricongiunzione dei servizi (l.r. 14 dicembre 1982, n.  58  e
art. 15, comma 3, l.r. 30 aprile 2015, n. 2; l.r. 5 maggio  1980,  n.
29 e art. 63, l.r. 26 novembre 2001, n. 43). 
    2.3. Orbene,  si  tratta  di  verificare  la  legittimita'  delle
riferite appostazionl contabili e, correlativamente, della  normativa
che contempla  il  trattamento  di  fine  servizio,  funzionale  alla
parificazione  dei  suddetti  capitoli  nel  rendiconto  2018.   Come
anticipato, nel  corso  del  2018,  stante  il  predetto  vincolo  di
destinazione attribuito alle somme appostate nel  capitolo  Fondo  n.
U89360, l'accantonamento determina un vincolo di  destinazione  della
spesa regionale, con cio' riducendo la disponibilita'  delle  risorse
per altre finalita' e contestualmente diminuendo la quota parte delle
risorse finanziarie disponibili. 
    Vale al proposito ricordare quanto  affermato  di  recente  dalla
Corte costituzionale secondo la quale «L'avanzo  di  amministrazione,
(...), non puo' essere inteso come una sorta di utile  di  esercizio,
il    cui    impiego    sarebbe    nell'assoluta     discrezionalita'
dell'amministrazione.  Anzi,  l'avanzo  di  amministrazione  «libero»
delle autonomie territoriali e' soggetto a un impiego  tipizzato,  in
cui non rientrano dazioni retributive e previdenziali non contemplate
dalla legge»  (sent.  n.  138/2019,  punto  7.1  del  Considerato  in
diritto). 
    Inoltre, le sopra citate norme (e le  somme  che  sulla  base  di
queste dovessero essere erogate) appaiono di sospetta  illegittimita'
costituzionale: l'art. 1 della legge regionale n. 58/1982, l'art. 15,
comma 3, della legge regionale n.  2/2015  e  l'art.  8  della  legge
regionale n. 13/2016, che nel loro combinato disposto, hanno previsto
il Fondo per l'integrazione regionale all'indennita' di fine servizio
la cui applicabilita' e' stata  confermata,  pur  dopo  l'abrogazione
della citata legge regionale n. 58, ai dipendenti in servizio  presso
l'amministrazione regionale alla data del 1° maggio 2015 (ex art. 15,
comma 3, della legge  regionale  n.  2/2015  e  art.  8  della  legge
regionale  n.  13/2016).  In   particolare,   le   norme   in   esame
risulterebbero costituzionalmente illegittime per contrasto  con  gli
articoli 3, 36, 81, 97, 101, secondo comma, 103, secondo comma,  108,
117, secondo comma, lettera l)  e  o),  e  119,  primo  comma,  della
Costituzione. 
    2.4. Nel corso del  contraddittorio  i  rappresentanti  regionali
hanno chiarito di aver effettuato i predetti accantonamenti nel  2018
in quanto, relativamente al Fondo per  l'integrazione  regionale  per
l'indennita' di fine servizio,  «e'  stato  necessario  quantificare,
anche  a  seguito  della  modifica  normativa,  l'importo  base   del
maturato,  al  netto  delle  anticipazioni  erogate,  per   tutti   i
dipendenti che avevano  diritto  all'integrazione»  (cfr.,  pag.  126
della relazione al rendiconto e nota prot. 4520  dell'8  luglio  2019
trasmessa dall'Amministrazione regionale in vista del contraddittorio
24 luglio 2019). 
    La tabella che segue espone le risorse accantonate nel  risultato
di amministrazione 2018 (cfr. allegato n. 35 del  Rendiconto  «Elenco
analitico delle risorse accantonate rappresentate nel  prospetto  del
risultato di amministrazione» pag.761). 
    Concorre a comporre detto risultato di amministrazione il  «Fondo
di accantonamento per l'integrazione regionale all'indennita' di fine
servizio» per complessivi euro 9.516.000,00. 
 

              Parte di provvedimento in formato grafico

 
    Fonte: Bollettino ufficiale Emilia-Romagna, supplemento  speciale
n. 267 del 6 maggio 2019. 
    2.5.  E',   altresi',   emerso   dalle   ulteriori   acquisizioni
istruttorie che per le finalita' in esame vi  e'  un  altro  capitolo
interessato, in relazione al quale il Collegio ha sospeso il giudizio
di parificazione, ovverosia il capitolo di  spesa  U04150  -  la  cui
denominazione e' la seguente: «Oneri  dipendenti  dalla  integrazione
regionale  della  indennita'  premio  di  servizio  Inadel  e   della
indennita' di  buonuscita  Enpas  dall'anticipazione  della  suddetta
integrazione,  dalla  corresponsione  della  indennita'   premio   di
servizio al personale per il quale non opera  la  ricongiunzione  dei
servizi (l.r. 14 dicembre 1982, n. 58 e art. 15,  comma  3,  l.r.  30
aprile 2015, n. 2; l.r. 5 maggio 1980,  n.  29  e  art.  63  l.r.  26
novembre 2001, n. 43» - che presentava alla data del 1° dicembre 2018
uno stanziamento di competenza di euro 1.050.000,00, impegni in corso
d'anno per euro 887.669,57, pagamenti in conto  competenza  per  euro
805.663,58, pagamenti in conto residui per euro 30.117,60,  pagamenti
complessivi, a fine esercizio 2018, per euro 835.781,18. 
    In particolare, in occasione dell'approfondimento istruttorio del
23 luglio 2019, l'Amministrazione regionale - oltre a  confermare  le
suddette risultanze, confermate tra  l'altro  dalla  tavola  n.  3.14
della relazione al conto consuntivo - ha  prodotto  un  elenco  delle
risorse affluite sul capitolo U04150, di seguito indicate. 
 

              Parte di provvedimento in formato grafico

 
    Dalla documentazione in atti emerge quindi che l'amministrazione,
sulla base delle norme che la  autorizzavano  a  cio',  ha  destinato
annualmente per  il  trattamento  di  fine  servizio  dei  dipendenti
contemplati dalla normativa sopra riferita, una somma  variabile  che
ha avuto evidenza tuttavia solo a partire dal 2018 con  l'istituzione
dell'apposito fondo al cap. U89360. 
    2.6. In merito al citato stanziamento di 9,516 milioni  di  euro,
di cui al capitolo n. U89360, nonche' quelle allocate al capitolo  n.
U04150,   relativi   alla   corresponsione   dell'integrazione    del
trattamento di fine servizio per il personale della Regione, pari  ad
impegni per euro 887.669,57  e  pagamenti  per  euro  835.781,18,  la
Sezione rileva che: 
      il  trattamento  di  fine  servizio   (TFS)   e'   l'indennita'
corrisposta,  alla  fine,  del  rapporto  di  lavoro,  ai  dipendenti
pubblici assunti prima del 1° gennaio 2001. Per i dipendenti  statali
essa e' denominata indennita' di buonuscita o assegno vitalizio ed e'
disciplinata dal decreto del Presidente della Repubblica 29  dicembre
1973, n. 1032; per i  dipendenti  degli  enti  locali  e'  denominata
indennita' di' premio servizio ed e' disciplinata dalla legge 8 marzo
1968, n. 152. Rispetto al TFR, che ha natura contributiva, il TFS  ha
carattere di salario differito e funzione  previdenziale  e  attiene,
proprio per la sua natura, al  rapporto  di  lavoro  dei  dipendenti.
Mentre nel TFR l'accantonamento e' a  totale  carico  del  datore  di
lavoro, nel TFS i contributi previdenziali vengono  versati  sia  dal
datore di lavoro che dal dipendente.  La  natura  del  TFS  riconduce
dunque le norme che disciplinano lo stesso alle materie del  rapporto
di lavoro dei dipendenti pubblici e della previdenza sociale; 
      l'art.  15  della  legge  regionale  n.  2   del   2015,   come
interpretato dalla successiva legge regionale n.  13  del  2016,  pur
avendo abrogato la richiamata legge regionale  n.  58  del  1982,  ha
disposto un'ultrattivita' della  stessa  legge  regionale  del  1982,
prevedendo   sostanzialmente   una   disposizione   transitoria   che
attribuisce l'integrazione del trattamento  di  fine  servizio,  come
calcolata dall'art. 1 della legge regionale abrogata, al personale in
servizio da almeno un anno alla  data  di  entrata  in  vigore  della
stessa legge regionale n. 2 del 2015, ossia al 1° maggio 2015. 
    La disposizione di cui  al  precedente  primo  comma  opera  dopo
almeno  un  anno  di  servizio  prestato  a  favore  della   Regione,
indipendentemente se e presso quale ente maturi il diritto a pensione
e indipendentemente altresi' da qualsiasi causa di  cessazione  (art.
1, terzo comma, legge regionale n. 58/1982). 
    2.7. Nella specie, il giudizio di parifica riguarda, dunque,  sia
il capitolo-Fondo U89360 (di importo pari ad euro  9.516.000,00)  sia
il capitolo U04150 (che presenta alla data del 31 dicembre  2018  una
disponibilita' di euro 1.050.000,00 di competenza), 
    2.8.   Ebbene,   tale   giudizio   non   puo'   essere   definito
indipendentemente dalla risoluzione della  questione  riguardante  la
legittimita' costituzionale della citata legislazione  regionale  che
ne costituisce il presupposto legislativo sostanziale (cfr.  art.  23
della legge 11  marzo  1953,  n.  87);  donde  la  «rilevanza»  della
questione ai fini del decidere. 
    2.9. Occorre  infatti  evidenziare  che  la  citata  legislazione
regionale in tema di trattamento  di  fine  servizio  costituisce  il
presupposto sostanziale  delle  risorse  movimentate  su  entrambi  i
citati  capitoli  riportati  nel  conto  consuntivo   all'esame:   il
capitolo-fondo U89360 ed il capitolo U04150. 
    2.10. Questa Sezione,  nel  giudizio  di  parifica  dei  predetti
capitoli concernenti la spesa del personale, deve  pertanto  decidere
dell'applicazione di norme di leggi regionali di cui si  contesta  la
legittimita'  costituzionale.  Qualora,  infatti,   fosse   acclarata
l'illegittimita' delle norme sopra richiamate, rilevanti ai fini  del
bilancio regionale (in quanto, in particolare, il combinato  disposto
degli articoli art. 15, comma 3, della legge regionale  n.  2/2015  e
art. 8 della legge regionale n. 13/2016 fa salva  l'applicazione  del
trattamento previdenziale - indennita'  di  fine  servizio  -  per  i
dipendenti  regionali  in   servizio   al   1°   maggio   2015),   le
corresponsioni dei relativi importi ai beneficiari individuati  dalle
norme, risulterebbero prive di copertura normativa  sostanziale,  con
possibilita' di non parificare i relativi  capitoli.  La  materia  in
esame  rientrerebbe,  in  particolare,  come  si   avra'   modo   di'
sottolineare, nell'ambito della previdenza sociale e dell'ordinamento
civile, in quanto tale riservata allo Stato ai sensi  dell'art.  117,
secondo comma, lettera l) e lettera o), della Costituzione. 
    2.11. Ulteriori profili di dubbio di legittimita'  costituzionale
- come sara' evidenziato  nel  Considerato  in  diritto  -  riguarda,
altresi', un  possibile  diretto  contrasto  della  citata  normativa
sostanziale con l'art. 81 Costituzione. 
    2.12.  Nella  pubblica   udienza   del   16   luglio   2019,   il
contraddittorio  si  e'  svolto  con  l'intervento   del   Magistrato
correlatore  -  che  ha  rappresentato   il   precitato   dubbio   di
legittimita'  costituzionale  -  del  Procuratore  regionale  e   del
rappresentante del Presidente della Giunta regionale. 
    2.13. La Procura, in particolare, nel  corso  della  requisitoria
del 16 luglio 2019, ha chiesto alla Sezione regionale di controllo di
emettere la pronuncia di parificazione del Rendiconto generale  della
Regione  Emilia-Romagna  per  l'esercizio  finanziario  2018,   nelle
componenti del Conto del Bilancio, dello  Stato  Patrimoniale  e  del
Conto Economico, ad eccezione delle poste  di  bilancio  relative  al
Fondo di accantonamento per l'integrazione  regionale  all'indennita'
di  fine  servizio,  come  indicato  nella   Requisitoria   e   nella
discussione orale. 
    2.14.  Con  la  decisione  n.  47/2019  e'  stato  parificato  il
rendiconto generale  della  Regione  Emilia-Romagna  per  l'esercizio
2018, ad eccezione, per quel che in questa sede rileva, dei  capitoli
U89360 ed U04150, con sospensione, in  parte  qua,  del  giudizio  di
parifica  al  fine  di  sollevare  pregiudizialmente   questione   di
legittimita' costituzionale: 
      dell'art. 1 della legge regionale 14 dicembre 1982, n. 58; 
      dell'art. 15, comma 3, della legge regionale 30 aprile 2015, n.
2; 
      dell'art. 8 della legge regionale 29 luglio 2016, n. 13. 
    2.15. Il Presidente della  Sezione  regionale  di  controllo  per
l'Emilia-Romagna,   pertanto,   visto   l'esito   del   giudizio   di
parificazione in data 16 luglio 2019, il  cui  dispositivo  e'  stato
letto in udienza, con riferimento alla  decisione  della  sospensione
del giudizio di parifica per i  capitoli  U90360  e  U04150,  in  via
istruttoria, con ordinanza n. 35 del 16 luglio 2019, ha disposto  che
la Regione ricostruisse: 
      a) le modalita' di quantificazione  delle  risorse  accantonate
sul capitolo fondo U89360, a decorrere dall'entrata in  vigore  della
legge costituzionale 18  ottobre  2001,  n.  3,  sottese  alla  legge
regionale n. 58/1982, nonche' all'art. 15 della l.r. n. 2 del 2015; 
      b)  la  composizione  delle  risorse  appostate  e   utilizzate
relativamente al  capitolo  U04150,  specificando  l'ammontare  delle
disponibilita'  finanziarie  stanziate  e   impegnate   a   decorrere
dall'entrata in vigore della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n.
3, sottese alla legge regionale  n.  58/1982,  nonche'  all'art.  15,
comma 3, della l.r. n. 2 del 2015; 
e ha disposto l'acquisizione dei lavori  preparatori  delle  seguenti
leggi regionali: n. 58 del 1982; legge n. 2 del 2015 (art. 15,  comma
3), legge n. 13 del 2016  (art.  8),  allo  scopo  di  consentire  di
cogliere, piu' chiaramente, la ratio legis di  dette  previsioni,  in
particolare,  di  quella  istitutiva  e  di  quella  abrogativa   del
trattamento di fine servizio su previsione regionale. 
    2.16. All'esito della  richiesta  istruttoria,  l'Amministrazione
regionale ha quindi prodotto, in data 23 luglio,  documentazione  con
prot. n. 4662/2019,  con  cui  ha  precisato  quali  siano  state  le
modalita' di quantificazione delle risorse accantonate  sui  Capitolo
Fondo  U89360  a  decorrere  dall'entrata  in  vigore   della   legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, sottese alla legge regionale n.
58/1982, nonche' all'art. 15, comma 3, della l.r. n. 15/2015. 
    In particolare, l'Amministrazione  regionale  riferisce  di  aver
proceduto alla quantificazione delle risorse accantonate sul Capitolo
Fondo U89360, a decorrere  dal  Bilancio  Regionale  anno  2018-2020.
Quanto alle modalita' di  calcolo,  l'importo  del  fondo,  specifica
ancora l'Ente, e' stato determinato sulla base della  sommatoria  dei
differenziali, per ciascun lavoratore avente diritto, calcolati  come
stabilito  nell'art.  1  della  l.r.  n.  58/1982  sulla  base  della
differenza tra: 
      l'importo    dell'indennita'    di    buonuscita    determinato
moltiplicando il numero degli anni  utili  a  liquidazione  per  1/12
dell'80% della retribuzione annua lorda percepita alla cessazione dal
servizio; 
      e l'importo del TFS calcolato  moltiplicando  il  numero  degli
anni di  servizio  utili  a  liquidazione  per  1/15  dell'80%  della
retribuzione media degli ultimi 12 mesi di servizio. 
    Ai fini del calcolo, ancora, per ogni dipendente avente  diritto,
la Regione ha stimato alla data del 31 dicembre 2018:  a)  i  periodi
utili; b) la retribuzione. 
    Nel documento si legge, altresi', che i lavoratori aventi diritto
sono i dipendenti in regime di TFS in servizio presso la regione alla
data del 1° maggio 2015 (data di entrata  In  vigore  della  l.r.  n.
2/2015) con almeno un anno di servizio nell'ente  alla  data  del  30
aprile 2015. 
    Ulteriori precisazioni fornite dalla Regione hanno dato  evidenza
del fatto che, ai fini del calcolo dell'importo  dell'accantonamento,
fra i  collaboratori  aventi  diritto  a  tale  istituto  sono  stati
ricompresi anche i dipendenti gia'  cessati  dal  servizio,  che  non
hanno ancora presentato  la  domanda  per  richiedere  l'integrazione
regionale. Per questi ultimi il calcolo e' stato effettuato fino alle
rispettive date di cessazione del rapporto di lavoro. 
    Emerge dalla nota suindicata che, complessivamente, i  dipendenti
aventi diritto al 31 dicembre 2018 all'integrazione  regionale,  come
quantificati dalla Regione in sede istruttoria, sono n. 1.683, di cui
n. 1.498 dipendenti in servizio e n. 185  cessati  dal  servizio  che
possono, successivamente alla liquidazione da parte  dell'Inps,  fare
richiesta  dell'integrazione  alla  Regione.  Tale   quantificazione,
precisa infine l'Ente, effettuata nel settembre 2017, ha portato alla
determinazione dell'importo dell'accantonamento stimato pari  a  euro
9.516.000,00. In occasione dell'udienza svoltasi in data 24 luglio e'
emerso tuttavia come, dai dati prodotti dalla stessa amministrazione,
il Fondo risulta quantificato in difetto, in quanto  la  formulazione
letterale dell'art. 15, comma 3, della legge  regionale,  n.  2/2015,
che fa salva l'applicazione  della  legge  regionale  n.  58/1982  ai
dipendenti in servizio al 1° maggio  2015,  come  interpretato  dalla
successiva legge regionale n. 13/2016, non esclude che l'integrazione
in questione possa essere riconosciuta anche al personale  in  regime
di trattamento di fine rapporto e non solo ai dipendenti in regime di
TFS. 
    2.17. La Procura, in data 24 luglio 2019, ha  depositato  memorie
conclusionali, con  le  quali  ha  dato  conto,  innanzitutto,  delle
considerazioni  svolte  dalla  Regione  in  sede  di  contraddittorio
istruttorio. In particolare, la Regione ha precisato che la legge  n.
58 del 1982 venne approvata per equiparare  il  trattamento  di  fine
servizio (TFS) spettante ai dipendenti regionali,  all'indennita'  di
buonuscita erogata  agli  altri  dipendenti  pubblici;  tuttavia,  e'
emerso che mentre il TFS viene calcolato moltiplicando 1/15  dell'80%
della retribuzione degli ultimi 12 mesi di servizio, l'indennita'  di
buonuscita  viene  determinata  moltiplicando  1/12  dell'80%   della
retribuzione annua lorda percepita alla cessazione dal  servizio.  Il
legislatore regionale avrebbe inteso quindi compensare la  differenza
economica derivante dai due sistemi di calcolo mediante la previsione
di una integrazione a carico della Regione. 
    L'Amministrazione, inoltre, ha altresi' evidenziato  -  riferisce
la Procura - che, alla luce del quadro normativo vigente, il  quantum
di integrazione regionale andra' comunque ad esaurimento  in  ragione
dell'introduzione,  per   tutti   i   dipendenti   pubblici   assunti
successivamente al  1°  gennaio  2001  del  differente  istituto  del
trattamento di fine rapporto (TFR) che comporta  un  diverso  calcolo
dell'importo spettante al dipendente al momento della cessazione  del
rapporto di impiego. 
    La Procura, visto quanto sopra, ha correttamente rilevato che per
effetto delle leggi regionali  sopravvenute,  l'integrazione  de  qua
quale prevista originariamente dalla legge del 1982 resterebbe quindi
in vigore solo  per  i  dipendenti  in  servizio  presso  la  Regione
Emilia-Romagna che abbiano maturato almeno un anno di servizio presso
la Regione stessa alla data del 30 aprile 2015 e siano assoggettati a
regime di TFS, ferma restando comunque l'esclusione da tale regime di
tutti gli assunti dopo  il  1°  gennaio  2001,  per  il  quali  trova
applicazione il regime generale del TFR. 
    2.17.1. La Procura Regionale nella memoria per l'udienza  del  24
luglio, ha quindi ritenuto che le richiamate previsioni di  cui  agli
articoli 1 della legge regionale n. 58 del 1982 e 15, comma 3,  della
legge regionale n. 2 del 2015, nell'interpretazione autentica  datane
dall'art. 8 della legge regionale n. 13 del 2016, nella parte in  cui
contemplano  la  perdurante  operativita'  di  una  integrazione  del
trattamento di fine servizio spettante ai  dipendenti  della  Regione
che abbiano maturato al 30 aprile 2014 il requisito  di  un  anno  di
servizio, con onere finanziario interamente a carico  della  Regione,
si pongano in frontale  e  insanabile  contrasto  con  le  previsioni
costituzionali di cui agli articoli 117, comma 1 testo  originario  e
117, comma 2 lettera l) e lettera o) testo vigente - quale introdotto
dalla legge costituzionale n. 3 del 2001  e  modificato  dalla  legge
costituzionale n. 1 del 2012 - e con quelle di cui agli articoli 81 e
119 Cast. 
    In particolare, ha osservato che la rilevanza della questione  di
legittimita' discende dalla sua attinenza a norme di legge  regionale
che  prevedono  un  trattamento  di  fine   servizio   di   carattere
integrativo  da  erogarsi  al  personale  dipendente  della   Regione
Emilia-Romagna che  al  momento  della  cessazione  del  rapporto  di
impiego possa far valere  il  requisito  di  anzianita'  di  servizio
previsto, con finanziamento integralmente a carico  della  Regione  e
con impiego da parte di questa  di  risorse  rivenienti  dal  proprio
bilancio. Peraltro, ha rilevato altresi' che se da un  lato  e'  vero
che la Regione con l'art. 15, comma 3, della legge n. 2 del 30 aprile
2015 ha disposto l'abrogazione della legge regionale n. 58 del  1982,
istitutiva della predetta integrazione, dall'altro e' anche vero  che
la  stessa   norma   abrogatrice   ha   fatto   salva   espressamente
l'applicazione della disciplina abrogata ai  dipendenti  che  abbiano
maturato prima della sua entrata in vigore (dunque, alla data del  30
aprile 2015) il requisito di un anno  di  servizio.  L'art.  8  della
legge  regionale  Emilia-Romagna  n.  13  del   2016,   nel   fornire
l'interpretazione autentica del richiamato secondo periodo del  comma
3 dell'art. 15 legge n. 2 del 2015, ha precisato che la  salvaguardia
ivi prevista si debba applicare  ai  dipendenti  in  servizio  presso
l'amministrazione regionale alla data  di  entrata  in  vigore  della
norma stessa. 
    In definitiva, rileva acutamente la Procura, l'art.  15  comma  3
della legge n. 2 del  2015,  formalmente  abrogativa  della  l.r.  n.
58/1982,  ha  avuto  quale   unico   effetto   quello   di   impedire
l'operativita' del meccanismo integrativo pro-futuro; del resto  esso
comunque non avrebbe potuto trovare applicazione per gli assunti dopo
il 2001 ricadenti nel regime normativo dell'ordinario TFR. Per contro
la richiamata norma abrogatrice non ha inciso  in  alcun  modo  sulla
piena  operativita'  del  detto  meccanismo  rispetto  al   personale
regionale gia' in servizio al momento della sua  entrata  in  vigore;
rispetto a tale personale, il meccanismo di integrazione delineato  a
suo tempo dalla legge regionale n. 58 del 1982  ha  continuato  (come
ancora continua) ad operare e terminera' concretamente di esplicare i
propri effetti di carattere (anche)  finanziario  unicamente  con  la
cessazione dal servizio dell'ultimo dipendente interessato. 
    Ne consegue  che,  secondo  la  Procura,  nonostante  la  formale
abrogazione prevista dall'art. 15, comma 3, della legge regionale  n.
2 del 2015, per effetto della clausola di salvezza dei  suoi  effetti
rispetto al personale in servizio alla data del  30  aprile  2015  in
essa contenuta, la legge n. 58 del 1982 spiega  ancora  pienamente  i
propri  effetti  giuridici  di'  carattere   anche   finanziario,   e
continuera' a produrli ancora in futuro. Rispetto alle previsioni  di
cui alla legge n. 58 del 1982 si verifica pertanto  in  concreto  una
situazione di ultra vigenza delle stesse, tale da rendere  pienamente
legittimo il loro  assoggettamento  allo  scrutinio  di  legittimita'
costituzionale da parte del Giudice delle leggi nella misura  in  cui
(e in ragione del fatto che) la norma, pur formalmente  abrogata,  e'
ancora pienamente esplicativa di effetti giuridici e finanziari  (nel
senso che l'abrogazione di una norma  anteriormente  alla  rimessione
della  questione  di  costituzionalita'  non  determini  di  per  se'
l'inammissibilita' della questione per difetto di rilevanza  cfr.  da
ultimo Consiglio di Stato sez. VI n. 4946 del 2014 con ampi  richiami
alla conforme giurisprudenza sul punto  della  Corte  costituzionale;
cfr. sul punto anche Corte costituzionale  n.  146  del  2019).  Allo
scrutinio di legittimita', viene rilevato nella citata  memoria,  non
si sottrae del resto nemmeno lo  ius  superveniens  costituito  dalle
previsioni di cui all'art. 15, comma 3, della legge  regionale  n.  2
del 2015 e della relativa norma di interpretazione autentica  di  cui
all'art.  8  della  legge  regionale  n.  13  del  2016.   La   Corte
costituzionale,  ha  rammentato  la  Procura,  e'  infatti   costante
nell'affermare   la   rilevanza   di   questioni   di    legittimita'
costituzionale riferite a norme di legge sostituite o  modificate  da
norme successive, quante volte  le  norme  sopravvenute  si  rivelino
ininfluenti per la incapacita' di incidere sulle precedenti nel senso
di  emendarle  e  renderle   idonee   a   superare   i   rilievi   di
incostituzionalita'  (cfr.,  per  tutte,  Corte   costituzionale   n.
259/2012;  Corte  costituzionale   n.   264/2013).   In   conformita'
all'orientamento consolidato del Giudice delle leggi  ad  avviso  del
quale, in virtu' del principio tempus regit  actum,  la  legittimita'
costituzionale  dell'atto  legislativo  deve  essere  vagliata  avuto
riguardo alla situazione di fatto e di diritto esistente  al  momento
della sua adozione (cfr. di recente, ex multis, Corte  costituzionale
n. 78/2013;  Corte  costituzionale  n.  177/2012),  la  questione  di
legittimita' costituzionale della legge regionale  Emilia-Romagna  n.
58 del  1982  deve  essere  posta  con  riferimento  alle  previsioni
costituzionali - che si assumono violate - vigenti nel momento in cui
il richiamato  atto  legislativo  e'  stato  emanato,  e  dunque  con
riferimento alle originarie  previsioni  costituzionali  in  tema  di
riparto della potesta' legislativa tra  Stato  e  Regioni  ordinarie,
anteriori alle riforma operata dalla legge costituzionale  n.  3  del
2001 con la quale si e' proceduto a profonde modifiche del  Titolo  V
Parte II della Costituzione). 
    2.17.2. Proseguendo,  la  Procura  ricostruisce  puntualmente  il
panorama normativo ante e post riforma costituzionale del  Titolo  V,
rammentando  che  anteriormente  ad  essa,  alle  Regioni  a  statuto
ordinario  veniva  riconosciuta  una  potesta'  legislativa  di  tipo
concorrente  esercitabile  unicamente  nelle  materie   espressamente
previste dall'art. 117 nel rispetto dei principi  fondamentali  posti
dalla legge dello Stato, nonche' dell'interesse nazionale e di quello
di altre Regioni, secondo quanto  previsto  dallo  stesso  art.  117,
fermi restando inoltre i limiti di territorio e di materia  derivanti
dall'osservanza  delle  (altre)  norme   costituzionali;   la   Corte
costituzionale   estendeva   inoltre   alla   potesta'    legislativa
concorrente delle Regioni ordinarie gli ulteriori limiti  (costituiti
dall'osservanza dei  principi  generali  dell'ordinamento  giuridico,
dagli obblighi internazionali e dalle norme fondamentali  di  riforma
economico-sociale) imposti statutariamente alle Regioni ad  autonomia
speciale, ritenendo  trattarsi  di  condizioni  di  portata  generale
dotate  di  un  fondamento  costituzionale  implicito.   Le   Regioni
ordinarie, prosegue la  Procura,  disponevano  altresi'  di  potesta'
legislativa attuativa, esercitabile laddove  leggi  statali  avessero
demandato alle Regioni  il  potere  di  emanare  norme  per  fa  loro
attuazione (ex u.c. art. 117 Costituzione testo originario). 
    Con riferimento a tale  quadro  normativo,  ed  alla  elencazione
delle materie oggetto di potesta'  legislativa  concorrente  previste
dal  testo  originario  dell'art.  117  Costituzione,  la   questione
relativa alla competenza  legislativa  delle  Regioni  ordinarie  sul
rapporto di impiego del personale alle proprie  dipendenze  e'  stata
risolta  configurandola  in  termini  di   legislazione   concorrente
riconducibile alla materia dell'«ordinamento degli uffici  dipendenti
dalla   Regione»   (prima   materia    elencata    dall'art.    117).
Conseguentemente,  il  rapporto  di  impiego  alle  dipendenze  della
Regione avrebbe potuto formare oggetto di disciplina da  parte  della
legislazione   regionale   unicamente   nei   limiti   dei   principi
fondamentali posti dalla legislazione statale, laddove la  previsione
di un trattamento integrativo del TFS per i dipendenti  regionali  da
parte della legislazione regionale non risultava affatto  contemplata
(per la legittimita' costituzionale di regimi differenziati  relativi
al trattamento di fine servizio cfr. del resto  Corte  costituzionale
n. 220 del 1988). 
    Venendo alla riforma  costituzionale  del  2001,  la  Procura  ha
rammentato  come  essa  ha  modificato  l'assetto  sopra   ricordato,
rovesciando  il  criterio  di  riparto  della  funzione  legislativa,
assegnando allo Stato la potesta' legislativa esclusiva nelle materie
tassativamente indicate, individuando poi  le  materie  rimesse  alla
legislazione  regionale  concorrente  nel   rispetto   dei   principi
fondamentali posti con legge statale e attribuendo  alle  Regioni  la
potesta' legislativa (cd. residuale) in  ogni  altra  materia,  senza
peraltro recare indicazioni  specifiche  in  ordine  alla  competenza
legislativa in tema di rapporto  di  impiego  alle  dipendenze  delle
Regioni. 
    Detta riforma ha peraltro espressamente indicato come materia  di
legislazione statale esclusiva quella dell'ordinamento  civile  (art.
117, comma 2, lettera l, Costituzione), nella quale ricade  anche  la
regolamentazione  del   rapporti   di   lavoro   con   le   pubbliche
amministrazioni secondo i modelli tipici  del  cd.  pubblico  impiego
privatizzato, ferma restando la competenza legislativa regionale  per
i profili organizzativi ed ordinamentali dell'ente. 
    Secondo la Procura, le previsioni di cui all'art. 1  della  legge
regionale  Emilia-Romagna  n.  58  del  1982,  nella  parte  in   cui
istituiscono un trattamento  previdenziale  a  carico  della  finanza
pubblica   (regionale)   integrativo   di   quello   previsto   dalla
legislazione  statale  a   favore   dei   dipendenti   regionali   da
corrispondersi all'atto della cessazione  dal  servizio,  contrastano
irrimediabilmente con le previsioni dell'art. 117 della  Costituzione
e con il riparto di potesta' legislativa  ivi  operato  tra  Stato  e
Regioni, avuto riguardo sia alla  formulazione  originaria  sia  alla
formulazione novellata dalla  legge  costituzionale  n.  3  del  2001
(sulla riserva  di  legislazione  statale  esclusiva  in  materia  di
previdenza sociale cfr. anche Corte costituzionale sentt. n. 38/2018;
n. 62/2019). 
    La previsione  dell'art.  15,  comma  3,  della  legge  regionale
Emilia-Romagna n. 2 del 2015, nell'interpretazione autentica  fissata
dall'art. 8 della legge regionale n. 13 del 2016, nella parte in  cui
contempla e consente la perdurante  operativita'  di  un  trattamento
integrativo del trattamento di fine servizio per i  dipendenti  della
Regione che abbiano maturato prima al 30 aprile 2015 il requisito  di
un anno di servizio con onere finanziario interamente a carico  della
Regione, risulta invece in aperto e  frontale  contrasto  con  quanto
disposto all'art. 117 della Costituzione testo vigente, lettera l)  e
lettera o) del secondo comma. 
    Nella  fattispecie  in   esame,   peraltro,   prosegue   l'Organo
requirente, le richiamate violazioni delle previsioni  costituzionali
in tema di riparto delle competenze legislative tra  lo  Stato  e  le
Regioni  si   riflettono   direttamente   sul   bilancio   regionale,
determinando un incremento non consentito della spesa  regionale  per
il proprio personale, integrando per tale via allo stesso tempo anche
la lesione di valori fondamentali ulteriori  quali  sono  quelli  cui
presiedono le previsioni costituzionali degli articoli 81 e 97, primo
comma. In altri termini, le previsioni delle leggi  regionali  n.  58
del 1982 e n. 2 del 2015, unitamente alla  interpretazione  autentica
offerta dall'art. 8 della legge n. 13 del 2016, nella misura  in  cui
prevedono e consentono ancora l'erogazione  ai  dipendenti  regionali
che ne abbiano diritto di una integrazione del  trattamento  di  fine
servizio con onere finanziario interamente a carico  del  bilancio  e
delle risorse della Regione Emilia-Romagna  integrano  la  violazione
non solo dei precetti di cui all'art. 117 testo originario e  di  cui
all'art. 117, secondo comma, lettera l) e lettera  o)  testo  vigente
(introdotto dalla legge costituzionale n. 3 del 2011 di  riforma  del
Titolo V della Costituzione), inerenti rispettivamente la  competenza
legislativa statale esclusiva in materia di «ordinamento civile» e di
«previdenza sociale», ma anche la  violazione  dei  precetti  di  cui
all'art. 81 e di cui all'art.  97,  primo  comma  della  Costituzione
poiche' incidono in modo  diretto  e  immediato  sugli  equilibri  di
bilancio e realizzano la violazione delle  regole  di  sana  gestione
finanziaria; valori alla cui  tutela  e'  preordinata  la  Corte  dei
conti, cui spetta accertare tutte le «irregolarita'» poste in  essere
dagli enti territoriali suscettibili di pregiudicarli, secondo quanto
stabilito dall'art. 1, comma 3, del decreto-legge 10 ottobre 2012, n.
174 convertito, con modificazioni, nella legge 7  dicembre  2012,  n.
213. Come giustamente ritenuto dalla Corte costituzionale  a  partire
dalla richiamata sentenza n. 196/2018, nei casi in cui si realizza la
violazione dei parametri costituzionali attributivi della  competenza
legislativa fissati nell'art. 117 Costituzione da parte della Regione
questa «manca per definizione della prerogativa di allocare risorse»;
a fronte di una violazione  di  tal  genere  «non  vi  e'  intervento
regionale produttivo di  spesa  che  non  si  traduca  immediatamente
nell'alterazione del criteri dettati dall'ordinamento ai  fini  della
sana gestione della finanza pubblica allargata» (sentenza n. 196  del
2018, punto 2.1.2. del Considerato in diritto). 
    2.17.3. A conclusione della propria memoria, pertanto, la Procura
Regionale presso la Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per
l'Emilia-Romagna ha chiesto alla scrivente Sezione regionale di voler
sollevare - nel giudizio di  parificazione  del  rendiconto  generale
della Regione Emilia-Romagna per  l'esercizio  2018  -  questione  di
legittimita'  costituzionale:  dell'art.  1  della  legge   regionale
Emilia-Romagna n. 58 del 14 dicembre 1982;  dell'art.  15,  comma  3,
della legge regionale Emilia-Romagna  n.  2  del  30  aprile  2015  e
dell'art. 8 della legge n. 13 del 29 luglio 2016, nella parte in  cui
prevedono e consentono la corresponsione ai dipendenti della  Regione
Emilia-Romagna che abbiano  maturato  i  requisiti  previsti  di  una
integrazione dell'indennita' di  fine  servizio  con  relativi  oneri
finanziari interamente a carico  della  Regione  Emilia-Romagna,  per
violazione dei seguenti articoli della Costituzione: art. 117,  comma
1 testo originario; art. 117, secondo comma, lettera l) e lettera  o)
testo vigente (introdotto dalla legge costituzionale n. 3 del 2001  e
modificato dalla legge costituzionale n. 1 del 2012); art.  81;  art.
97, primo comma. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. Il giudizio  di  parificazione  del  rendiconto  regionale  e'
disciplinato dalle disposizioni di' cui  all'art.  1,  comma  5,  del
decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174, convertito, con modificazioni,
dalla legge 7 dicembre 2012,  n.  213,  secondo  cui  «Il  rendiconto
generale della regione  e'  parificato  dalla  sezione  regionale  di
controllo della Corte dei conti ai sensi degli articoli 39, 40  e  41
del t. u. di cui al regio decreto  12  luglio  1934,  n.  1214.  Alla
decisione di parifica e' allegata una relazione nella quale la  Corte
dei conti formula le sue osservazioni in merito alla  legittimita'  e
alla regolarita' della gestione e propone le misure di  correzione  e
gli  interventi  di  riforma  che  ritiene  necessari  al  fine,   in
particolare, di assicurare l'equilibrio del bilancio e di  migliorare
l'efficacia e l'efficienza della spesa. La decisione di parifica e la
relazione sono trasmesse al presidente della giunta  regionale  e  al
consiglio regionale». 
    1.1. Gli articoli del testo unico delle  leggi  sulla  Corte  dei
conti richiamati si riferiscono alla parifica del rendiconto generale
dello Stato e disciplinano la procedura del giudizio di parificazione
(art.   40),   il   profilo   contenutistico   (art.   39)    e    la
contestualizzazione dell'attivita' di parifica con una relazione  sul
rendiconto (art. 41). 
    1.2. Nel corso del giudizio di parifica le Sezioni  regionali  di
controllo della  Corte  dei  conti  svolgono  il  ruolo  di  «garante
imparziale   dell'equilibrio   economico-finanziario   del    settore
pubblico» che il legislatore ha attribuito alla Corte dei conti e che
e' stato confermato dalla Corte costituzionale  con  la  sentenza  n.
60/2013, nella quale, in linea con la  pregressa  giurisprudenza,  e'
stato ribadito che «alla Corte dei conti e' attribuito  il  controllo
sull'equilibrio    economico-finanziario    del    complesso    delle
amministrazioni  pubbliche  a  tutela  dell'unita'  economica   della
Repubblica, in riferimento a parametri costituzionali  (articoli  81,
97,  117,  119  e  120   Costituzione)   e   ai   vincoli   derivanti
dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea (articoli 11 e  117,
primo comma, Costituzione)». 
    Infatti,  come  puntualizza  l'art.  1,  comma  1,   del   citato
decreto-legge n. 174/2012, con riferimento al giudizio  di  parifica,
«al fine di rafforzare il coordinamento della  finanza  pubblica,  in
particolare tra i livelli  di  governo  statale  e  regionale,  e  di
garantire   il   rispetto   dei    vincoli    finanziari    derivanti
dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea, le disposizioni del
presente articolo sono volte ad adeguare, ai sensi degli articoli 28,
81, 97, 100 e 119 della Costituzione, il controllo  della  Corte  dei
conti sulla gestione finanziaria delle regioni  di  cui  all'art.  3,
comma 5, della legge 14 gennaio 1994, n. 20, e all'art. 7,  comma  7,
della legge 5 giugno 2003, n. 131, e successive modificazioni». 
    1.3. Occorre, altresi', ricordare che, ai sensi dell'art. 39  del
testo unico delle leggi sulla  Corte  dei  conti  (regio  decreto  12
luglio 1934, n. 1214),  al  quale  rinvia  l'art.  1,  comma  5,  del
decreto-legge 10 ottobre 2012, n.  174,  l'oggetto  del  giudizio  di
parifica e' il seguente: «La Corte verifica  il  rendiconto  generale
dello Stato e ne confronta i risultati tanto per le  entrate,  quanto
per le spese, ponendoli a riscontro con le leggi del bilancio. A tale
effetto verifica se le entrate riscosse  e  versate  ed  i  resti  da
riscuotere e da versare risultanti dal rendiconto, siano conformi  ai
dati esposti nei conti periodici e nei riassunti  generali  trasmessi
alla Corte dai singoli ministeri;  se  le  spese  ordinate  e  pagate
durante l'esercizio concordino con le scritture tenute o  controllate
dalla Corte ed accerta i residui passivi in base  alle  dimostrazioni
allegate  ai  decreti  ministeriali  di  impegno  ed   alle   proprie
scritture. La Corte con eguali accertamenti  verifica  i  rendiconti,
allegati  al  rendiconto  generale,  delle   aziende,   gestioni   ed
amministrazioni statali con  ordinamento  autonomo  soggette  al  suo
riscontro». 
    1.4. La Corte costituzionale, con  la  sentenza  n.  213/2008  ha
affermato la legittimazione della Corte dei conti in sede di giudizio
di parificazione a sollevare questione di legittimita' costituzionale
«avverso tutte quelle disposizioni di legge che  determinino  effetti
modificativi dell'articolazione del bilancio per il fatto  stesso  di
incidere, in senso globale, sulle unita' elementari, vale a dire  sui
capitoli [...]. Ancora, «In questa prospettiva si e' stabilito che le
sezioni regionali di  controllo  accertano  gli  squilibri  economico
finanziari, la mancata copertura delle spese, la violazione di  norme
finalizzate a garantire la  regolarita'  della  gestione  finanziaria
(art. 1, comma 7, del decreto-legge n. 174  del  2012),  in  sostanza
tutte  le  «irregolarita'  suscettibili  di  pregiudicare,  anche  in
prospettiva, gli equilibri economico-finanziari degli enti» (art.  1,
comma 3, del decreto-legge n.  174  del  2012).  Alla  luce  di  tali
sviluppi, questa Corte ha riconosciuto l'ammissibilita' di  questioni
di legittimita' costituzionale sollevate dalle sezioni  regionali  di
controllo della Corte dei conti in sede di giudizio di  parificazione
dei rendiconti regionali» (cosi', Corte costituzionale,  sentenza  n.
196 del 9 novembre 2018). 
    1.5. Ricorrono, infatti, nei casi di specie, le stesse situazioni
che hanno indotto a scrutinare favorevolmente l'ammissibilita'  della
rimessione incidentale  da  parte  della  Corte  dei  conti,  Sezione
regionale di controllo per la Liguria, poiche' il giudice  contabile,
ove avesse applicato tali norme, si sarebbe trovato nella  condizione
di validare un risultato di amministrazione non corretto,  in  quanto
relativo  a  una  spesa,  conseguente  all'adozione  di  un  istituto
retributivo illegittimo (in tal senso, sentenza Corte  costituzionale
n. 196 del 2018 sopra citata). 
    Tenuto conto che compito  della  Corte  dei  conti,  in  sede  di
parificazione del rendiconto generale delle  autonomie  territoriali,
e' accertare  il  risultato  di  amministrazione,  nonche'  eventuali
illegittimita' suscettibili di pregiudicare,  anche  in  prospettiva,
gli equilibri economico-finanziari degli enti (art. 1, comma  3,  del
decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174), si tratta, come  sottolineato
dalla Consulta con la sentenza n. 138/2019, di valutare la  rilevanza
della questione sollevata che  concerne  non  solo  l'art.  81  della
Costituzione ma anche l'art. 117, secondo comma, sui  rispetto  delle
competenze legislative Stato-Regione, e nel caso specifico lettera l)
e o), dal momento che «le  norme  di  cui  sospetta  l'illegittimita'
costituzionale incidono sull'articolazione della spesa e sul  quantum
della stessa, dal momento che ne  determinano  un  effetto  espansivo
mediante un aumento delle risorse destinate al trattamento accessorio
con cui (...)  avrebbe  retribuito  soggetti  che  non  ne  avrebbero
titolo»; in tal modo l'aumento della spesa del personale  incide  sul
risultato di amministrazione, e tale violazione  e'  rilevante  anche
quando l'equilibrio non e' messo in discussione,  come  nel  caso  in
esame, nel quale non si era in presenza di un disavanzo. 
    2. Nel corso dell'esame del conto  del  bilancio  del  rendiconto
generale della Regione  Emilia-Romagna  per  l'esercizio  2018,  come
analiticamente esposto in narrativa, la Sezione si e'  soffermata  ad
esaminare la legislazione regionale di'  autorizzazione  della  spesa
sottesa ai predetti capitoli n. U89360 e n. U04150, aventi ad oggetto
rispettivamente  «Fondo  accantonamento  indennita'  regionale   fine
servizio» e «Oneri  dipendenti  dalla  integrazione  regionale  della
indennita' premio di servizio Inadel e della indennita' di buonuscita
Enpas   dall'anticipazione   della   suddetta   integrazione,   dalla
corresponsione della indennita' premio di servizio al  personale  per
il quale non opera la ricongiunzione dei servizi  (l.r.  14  dicembre
1982, n. 58 e art. 15, comma 3, l.r. 30 aprile 2015,  n.  2;  l.r.  5
maggio 1980, n. 29 e art. 63 l.r. 26 novembre 2001, n. 43»: l'art.  1
della legge regionale 14 dicembre 1982, n. 58; l'art.  15,  comma  3,
della legge regionale 30 aprile 2015, n.  2;  l'art.  8  della  legge
regionale 29 luglio 2016, n. 13. 
    L'art. 1 della  legge  n.  58/1982,  nella  versione  vigente  al
momento dell'abrogazione, e' il seguente: «Per ogni anno di servizio,
la Regione - a decorrere  dalla  data  di  entrata  in  vigore  della
presente legge e fino all'entrata in vigore di una diversa disciplina
generale dell'istituto previdenziale di cui  trattasi  per  tutto  il
settore del pubblico impiego - assicura ai propri dipendenti  e  loro
aventi  causa  un  trattamento  previdenziale  (indennita'  di   fine
servizio) pari  a  1/12  dell'80%  dell'ultima  retribuzione  mensile
lorda, rapportata ad  anno,  quale  allo  stesso  fine  l'ordinamento
dell'INADEL - Istituto Nazionale Assistenza Dipendenti Enti Locali  -
prende a base per  il  calcolo  dell'indennita'  premio  di  servizio
[comma primo]. La Regione pone a suo carico la  eventuale  differenza
fra la somma  lorda  spettante  secondo  quanto  previsto  dal  comma
precedente  (assunta  a  minuendo)  e   quella   lorda   (assunta   a
sottraendo), corrisposta a titolo di indennita' di  premio  servizio,
di indennita' di buonuscita, di indennita' di' anzianita', o ad altro
analogo titolo, dalla stessa Regione e dall'ente presso il  quale  e'
instaurato il rapporto previdenziale [comma secondo]. La disposizione
di cui al precedente  primo  comma  opera  dopo  almeno  un  anno  di
servizio prestato a favore  della  Regione,  indipendentemente  se  e
presso quale ente maturi il diritto a  pensione  e  indipendentemente
altresi' da qualsiasi causa di cessazione [comma terzo]». 
    L'art. 15 della legge regionale 30 aprile 2015, n. 2, al comma  3
stabilisce  che  «La  legge  regionale  14  dicembre  1982,   n.   58
(Omogeneizzazione  del  trattamento  di  previdenza   del   personale
regionale),  e'  abrogata.  Resta  salva  la  sua   applicazione   ai
dipendenti che abbiano maturato, prima dell'entrata In  vigore  della
presente legge, il requisito di un anno di servizio di  cui  all'art.
1, comma terzo della legge regionale n. 58 del 1982». 
    Infine, l'art. 8 della legge regionale 29  luglio  2016,  n.  13,
concernente  «Interpretazione  autentica  dell'art.  15  della  legge
regionale n. 2 del 2015», stabilisce  che  «Il  secondo  periodo  del
comma 3 dell'art. 15 della legge  regionale  30  aprile  2015,  n.  2
(Disposizioni collegate  alla  legge  finanziaria  per  il  2015)  si
interpreta nel senso che la salvaguardia si applica ai dipendenti  in
servizio presso l'amministrazione regionale alla data di  entrata  in
vigore della norma stessa». 
    3. Nel  caso  di  specie,  la  Sezione  ritiene  che  la  Regione
Emilia-Romagna, legiferando con  l'art.  15,  comma  3,  della  legge
regionale n. 2/2015, alla luce del sistema costituzionale di  riparto
delle competenze legislative tra lo Stato e la  Regione,  in  materie
riservate alla competenza legislativa esclusiva  dello  Stato,  abbia
determinato un aumento della spesa del personale regionale, ponendosi
al  di  fuori  del  definito  sistema  previsto  dalla   legislazione
nazionale, astretto a finalita' di salvaguardia e contenimento  della
spesa pubblica, in vista del rispetto degli obblighi  di  tenuta  dei
vincoli di finanza pubblica interni e comunitari: la qual cosa emerge
dalla circostanza che la intervenuta costituzione del fondo - per  la
prima volta, a partire dal 2018 - ha contestualmente operato  -  come
emerge dalla documentazione istruttoria - la riduzione di altre poste
del risultato di amministrazione. 
    4.  Va  dato,  altresi',  atto  che  la  presente  questione   di
costituzionalita'  segue  altri  casi  simili  gia'  sottoposti  allo
scrutinio  della  Consulta,  la  quale   ha,   peraltro,   dichiarato
l'illegittimita'  costituzionale  delle  norme  di  volta  in   volta
considerate dalle competenti Sezioni regionali di controllo. 
    La scrivente  Sezione  si  richiama,  pertanto,  alle  pertinenti
considerazioni svolte, in particolare,  dalla  Sezione  regionale  di
controllo per la Liguria con l'ordinanza n.  34/2017  alla  quale  ha
fatto seguito la sentenza della Consulta n. 196/2018,  dalle  Sezioni
riunite per la regione Trentino-Alto Adige/Südtirol, con  l'ordinanza
n.  4/SS.RR./2018,  che  ha   portato   alla   pronuncia   di   Corte
costituzionale  n.  138  del  2019,  e  dalla  Sezione  regionale  di
controllo per la Campania, con l'ordinanza n. 25/2018  seguita  dalla
pronuncia di Corte costituzionale n. 146/2019. 
    5. La  Sezione  in  particolare  deve  valutare  in  concreto  le
condizioni che impongono di sollevare la  questione  di  legittimita'
costituzionale. 
    In tale logica, appare «rilevante ai fini del  decidere»  e  «non
manifestamente infondata» la questione di  costituzionalita'  che  il
Collegio pone, in quanto la violazione della riserva di competenza di
legge statale da parte della Regione Emilia-Romagna  in  una  materia
quale quella dell'«ordinamento civile» e della  «previdenza  sociale»
e' foriera di una dinamica espansiva della spesa di personale,  oltre
le limitazioni desumibili dalla legislazione dello Stato. 
    Infatti, nel  caso  di  specie,  le  norme  di  cui  si  sospetta
l'illegittimita' costituzionale, per non consentita  invasione  della
legislazione riservata alla legislazione statale (art.  117,  secondo
comma, lettera l) e o),  Costituzione),  incidono  sull'articolazione
della  spesa  e  sui  quantum  della  stessa,  poiche'   istituiscono
aspettative di trattamento di  fine  servizio  ulteriore  rispetto  a
quanto prevede la legge statale, con incidenza pertanto sui parametri
finanziari di cui agli articoli 81 e 97  Costituzione.  Deve  inoltre
rilevarsi, in merito al parametro  finanziario  di  cui  all'art.  81
Costituzione, che la quantificazione del Fondo, calcolato solo  sulla
base del personale in  servizio  al  1°  maggio  2015  in  regime  di
Trattamento di fine servizio, appare in difetto e con copertura  solo
parziale sulla  base  dell'interpretazione  letterale  dell'art.  15,
comma 3, della legge regionale n. 2/2015. 
    Ne' si puo' dare ingresso a  una  diversa  interpretazione  delle
norme qui evocate, in quanto la indiscutibile formulazione  letterale
della norma dell'art. 15, comma 3, della legge  regionale  30  aprile
2015,  n.  2  non  esclude  ed  anzi  sembra  consentire   senz`altro
un'inammissibile    interpretazione    estensiva    degli    istituti
previdenziali in esame a favore anche  dei  dipendenti  assunti  sino
al 1°  maggio  2015  e  soggetti  al  regime  di  TFR,  dilatando  la
componente vincolistica di spesa cui occorre  invece  dare  effettivo
contenimento. 
    5.1 Piu' specificamente, quanto alla rilevanza, va ricordato  che
alla luce del disposto dall'art. 39 del testo unico delle leggi sulla
Corte dei conti (regio decreto 12 luglio 1934,  n.  1214),  al  quale
l'art. 1, comma 5, dei decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174  rinvia,
la Corte costituzionale, con la sentenza n. 213/2008, ha affermato fa
legittimazione  della  Corte  dei  conti  in  sede  di  giudizio   di
parificazione a sollevare questione  di  legittimita'  costituzionale
«avverso tutte quelle disposizioni di legge che  determinino  effetti
modificativi dell'articolazione del bilancio per il fatto  stesso  di
incidere, in senso globale, sulle unita' elementari, vale a dire  sui
capitoli, con riflessi sugli equilibri di gestione, disegnati con  il
sistema dei risultati differenziali». 
    Nel caso di  specie,  le  norme  regionali  di  cui  si  sospetta
l'illegittimita'  costituzionale  incidono  sull'articolazione  della
spesa e sul quantum della  stessa,  poiche'  determinano  un  effetto
espansivo della spesa,  anche  in  prospettiva  futura,  mediante  un
aumento delle risorse destinate al trattamento di fine servizio,  con
cui la Regione retribuisce i soggetti ivi contemplati. 
    Nel momento in cui la Sezione oggi  rimettente,  nell'ambito  del
giudizio di parifica, deve prendere in  esame  i  capitoli  destinati
alla corresponsione e materiale pagamento  di  tale  trattamento,  si
trova nella situazione di non poter dichiarare la parifica  di  detti
capitoli  «indipendentemente»  dalla  risoluzione   del   dubbio   di
conformita' a Costituzione delle norme di legge di cui e' chiamata  a
fare  applicazione.  Difatti,  nella  specie,  laddove  la  normativa
regionale sottesa ai capitoli di spesa in questione fosse affetta  da
un  vizio  competenziale,  la  relativa  spesa  consuntivata  sarebbe
effettuata   sine   titulo,   sicche',   qualora   fosse    acclarata
l'illegittimita' costituzionale delle citate norme di legge regionali
che  rilevano  ai  tini  del  giudizio  di  parificazione,  le  spese
sostenute per la corresponsione di detti importi sarebbero  prive  di
«copertura normativa», con «ridondanza» e conseguente violazione  del
precetto  costituzionale   di   cui   all'art.   81,   terzo   comma,
Costituzione. 
    5.2. Nella fattispecie che occupa la  Sezione,  la  parifica  dei
capitoli di bilancio n. U89360 e U04150 e'  dunque  condizionata  dal
dubbio  di'  legittimita'  costituzionale  della  normativa  che   ne
costituisce il presupposto sostanziale, e  cioe'  dall'art.  1  della
legge n. 58 del 1982, dall'art. 15, comma 3, della legge regionale n.
2/2015 e dall'art. 8 della legge regionale n. 13/2016  che,  mediante
la clausola di salvezza dell'applicazione del trattamento de  quo  ai
dipendenti  in  esercizio  ad  una  certa  data,  recano   norme   di
autorizzazione dei relativi  impegni  e  pagamenti,  con  conseguente
evidenza della rilevanza nel presente  giudizio  della  questione  di
costituzionalita' che si intende  sollevare.  Infatti,  con  riguardo
all'art.  15,  comma  3,  della  legge  regionale   n.   2/2015,   la
disposizione fa salva, per quanto qui  di  interesse,  l'applicazione
del trattamento di fine servizio (mentre abroga per il resto la legge
regionale n. 58/1982), ai  dipendenti  che  abbiano  maturato,  prima
dell'entrata in vigore della stessa legge n. 2/2015, il requisito  di
un anno di servizio, mentre l'art. 8 della legge regionale 29  luglio
2016, n. 13, recante «Interpretazione autentica  dell'art.  15  della
legge regionale n. 2 del 2015», ha precisato che la  salvaguardia  si
applica ai dipendenti in servizio presso l'amministrazione  regionale
alla data di entrata in vigore della norma stessa (ovvero, 1°  maggio
2015). 
    5.3. Per tutto quanto sopra esposto,  nella  vigenza  delle  piu'
volte citate leggi regionali, questa Sezione si  troverebbe  a  dover
parificare  il  rendiconto  della  Regione   Emilia-Romagna   e,   in
particolare, le poste di bilancio afferenti il menzionato trattamento
di fine servizio, la cui disciplina anche nell'esercizio  oggetto  di
scrutinio, trova la sua fonte non gia' in clausole  contrattuali,  ma
direttamente nella legge.  Pertanto,  la  verifica  della  spesa  del
personale nell'ambito del giudizio di parifica, con riferimento  alle
fattispecie evidenziate, consente  a  questa  Sezione  di  ergersi  a
garante imparziale dell'equilibrio  economico-finanziario  attuale  e
prospettico del settore pubblico che  il  legislatore  ha  attribuito
alla Corte dei conti. In tal senso, ha  trovato  giustificazione  una
parifica  parziale  del  rendiconto  regionale  per  il   2018,   con
esclusione, quindi, delle poste di spesa esaminate. Nella fattispecie
de qua, la parifica dei capitoli di spesa n. U89360 e U04150 comporta
l'applicazione  dell'art.  1  della  legge  regionale   n.   58/1982,
dell'art. 15, comma 3, della legge regionale n. 2/2015 e dell'art.  8
della legge regionale n. 13/2016. 
    Ne deriva, in ordine ai requisito  della  rilevanza,  che  questa
Sezione, se non dubitasse  della  legittimita'  costituzionale  delle
citate disposizioni regionali, dovrebbe necessariamente parificare  i
suddetti capitoli di bilancio. 
    5.4. Per questa ragione, la Sezione ha provveduto,  come  esposto
in premessa, ad una parifica parziale del  rendiconto  regionale  con
esclusione, quindi, delle poste di spesa di cui ai capitoli n. U89360
e  n.  U04150,  per  un  importo  pari   a,   rispettivamente,   euro
9.516.000,00  ed  euro  1.050.000,00  di   competenza   e   di   euro
1.080.117,60 di cassa. 
    5.5.  Peraltro,  la  disciplina  regionale  denunciata,  se   pur
risalente nel tempo ed  abrogata  nel  2015,  continua  ad  esplicare
efficacia anche nel corso dell'esercizio finanziario 2018,  incidendo
sui risultati finanziari finali e, conseguentemente,  sul  rendiconto
regionale (oggetto di parifica). 
    5.6.  La  rilevanza  della  questione  permane  anche  a  seguito
dell'abrogazione del trattamento di fine servizio regionale ad  opera
dell'art. 15, comma 3, della legge regionale 30 aprile  2015,  n.  2.
Deve osservarsi come l'abrogazione della  legge  per  definirsi  tale
debba avere  come  conseguenza  la  cessazione  dell'efficacia  della
stessa,  ossia  non  produrre  alcun  effetto  diretto  o   indiretto
nell'ambito dell'ordinamento giuridico. In realta' nel caso specifico
l'art. 15, comma 3, della legge  regionale  n.  2/2015  ha  disposto,
rispetto all'enunciata abrogazione, una  parziale  abrogazione  della
legge n. 58/1982, in quanto quest'ultima continua a produrre  effetti
per il personale in servizio al 1° maggio 2015. Nel caso  in  cui  si
volesse considerare l'effetto abrogativo dell'art. 15, comma 3, della
legge regionale 2/2015, quest'ultima dovra'  considerarsi,  comunque,
come novativa della disposizione legislativa regionale n. 58/1982, in
quanto definisce  un  diverso  quadro  giuridico  relativamente  alla
corresponsione  dell'integrazione   in   questione   limitandola   al
personale in servizio presso la Regione al 1° maggio 2015. 
    Difatti, secondo l'insegnamento della Corte  costituzionale  deve
ritenersi «la persistenza della rilevanza, anche nel caso in  cui  la
norma sottoposta a scrutinio sia stata dichiarata incostituzionale  o
sostituita da una successiva, in  quanto,  allorche'  un  determinato
atto amministrativo sia stato adottato sulla base di  una  norma  poi
abrogata o dichiarata costituzionalmente illegittima, la legittimita'
dell'atto deve essere esaminata, in virtu' del principio tempus regit
actum, con riguardo alla situazione di fatto e di  diritto  esistente
al momento della sua adozione» (sentenza n. 177  del  2012;  nonche',
tra le altre, sentenze nn. 321 del 2011, 209 del 2010, 391 del 2008 e
509 del 2000). 
    Del resto, i due  istituti  giuridici  dell'abrogazione  e  della
illegittimita' costituzionale delle leggi non sono eguali  fra  loro,
ma si muovono su piani  differenti  ed  hanno,  soprattutto,  effetti
diversi. Mentre la dichiarazione di incostituzionalita' di una  legge
o di un atto avente forza di legge rende la norma inefficace ex  tunc
e quindi, estende la sua invalidita' a  tutti  i  rapporti  giuridici
ancora pendenti al momento della decisione  della  Corte,  restandone
cosi' esclusi soltanto i  «rapporti  esauriti»,  l'abrogazione  opera
solo  per  l'avvenire,  atteso  che  anche  la  legge  abrogante   e'
sottoposta alla regola di cui all'art. 11  delle  Disposizioni  sulla
legge in  generale,  secondo  cui  «la  legge  non  dispone  che  per
l'avvenire: essa non ha effetto retroattivo». Considerazioni  diverse
potrebbero essere fatte per l'abrogazione  con  effetti  retroattivi,
ipotesi che tuttavia non ricorre nella fattispecie in esame dove,  di
contro, e'  assolutamente  pacifico  che  la  legislazione  regionale
denunciata, fino all'abrogazione della  disciplina  in  questione  da
parte dell'art. 15, comma 3, della legge regionale 30 aprile 2015, n.
2, abbia avuto concreta applicazione e continuera' ad  avere  effetti
sul bilancio della Regione Emilia-Romagna, atteso il permanere  della
vigenza della legge regionale n. 58/1982 per i dipendenti in servizio
al 1° maggio 2015 e sino  alla  cessazione  del  rapporto  di  lavoro
(ovvero della norma istitutiva del trattamento di  fine  servizio  de
quo) e per il resto espressamente abrogata  ad  opera  dell'art.  15,
comma 3, della  legge  regionale  n.  2/2015,  nella  interpretazione
autentica datane dall'art. 8 della legge regionale n. 13/2016). 
    Va osservato che, di recente, la stessa Consulta con le  pronunce
sopra menzionate seguite alle ordinanze di rinvio  delle  Sezioni  di
controllo per la Liguria e per la  Campania  ha,  in  casi  analoghi,
disposto che «Tale legge (ovvero quella  che  ha  abrogato  le  norme
regionali tacciate  di  incostituzionalita',  n.d.r.),  tuttavia,  e'
entrata in vigore il 12  agosto  2017,  cosicche'  sia  l'abrogazione
dell'art. 10 della l.r. Liguria n.  10  del  2008,  sia  la  modifica
dell'art. 2 della l.r. Liguria n. 42  del  2008  non  incidono  sulle
questioni  di  legittimita'  costituzionale   delle   citate   norme,
sollevate nell'ambito del giudizio di  parificazione  del  rendiconto
generale della Regione  Liguria  inerente  all'esercizio  finanziario
2016, in relazione al quale esse continuano a  trovare  applicazione»
(sent. n. 196/2018, punto 2.2 in diritto); inoltre  «Preliminarmente,
occorre  tener  conto  della  circostanza  che,  dopo   il   deposito
dell'ordinanza di rimessione e la  discussione  in  udienza  pubblica
delle questioni con essa sollevate, le norme oggetto di censura  sono
state abrogate [...]. Tuttavia,  secondo  gli  ordinari  principi  di
successione delle  leggi  nel  tempo,  tale  abrogazione  non  spiega
effetti  sul  giudizio  a  quo.  Pertanto,   sono   insussistenti   i
presupposti per la restituzione degli atti al giudice a quo  al  fine
di un nuovo esame della rilevanza e della non manifesta  infondatezza
delle  questioni  sollevate»  (sent.  n.  146/2019,   punto   2   del
Considerato in diritto). 
    6. Venendo al profilo della non manifesta infondatezza, l'analisi
della normativa regionale, sul cui presupposto risulta  essere  stato
costituito   il   predetto   Fondo   per   l'integrazione   regionale
all'indennita' di fine servizio, capitolo-Fondo  U89360  (di  importo
pari ad euro 9.516.000,00) e il capitolo U04150 (di importo  pari  ad
euro 1.050.000,00 di competenza e di euro 1.080.117,60 di cassa),  fa
ritenere,  sussistente  anche il  requisito  nella   «non   manifesta
infondatezza della questione», in quanto pone dubbi  di  legittimita'
costituzionale in relazione agli articoli 3, 36, 81, 97, 101, secondo
comma, 103, secondo comma, e 108 e 117,  secondo  comma,  lettera  l)
«ordinamento civile» e o) «previdenza sociale», e 119,  primo  comma,
della Costituzione. 
    Infatti, sulla base della  giurisprudenza  costituzionale  (Corte
costituzionale nn. 146 e 138/2019 e 196/2018, richiamate anche  nella
memoria  depositata  dalla  Procura  regionale  presso   la   Sezione
giurisdizionale per la  Regione  Emilia-Romagna  in  data  24  luglio
2019), in sede di giudizio di parificazione, la Sezione del controllo
della Corte dei conti e' chiamata a vagliare la «copertura normativa»
della legislazione di spesa-presupposto di poste di bilancio. 
    6.1 Come detto sopra, molteplici sono le norme costituzionali con
le quali ad avviso di questa Sezione, le citate  leggi  regionali  si
porrebbero in contrasto. La Sezione  dubita  in  particolare  che  la
predetta legislazione regionale, che disciplina  il  «trattamento  di
fine servizio» a  favore  dei  dipendenti  regionali,  prevedendo  un
regime differenziale di maggior favore rispetto agli altri dipendenti
pubblici, esorbiti, invadendola, nell'ambito competenziale  esclusivo
riservato alla legislazione statale  riconducibile  alla  «previdenza
sociale»,  ai  sensi  dell'art.  117,  secondo  comma,  lettera   o),
Costituzione e all'«ordinamento  civile»,  ai  sensi  dell'art.  117,
secondo comma, lettera l), Costituzione, con conseguente «ridondanza»
sui parametri finanziari di cui agli articoli 81 e  97  Costituzione,
poiche' la spesa regionale  sarebbe,  in  parte  qua,  effettuata  ed
effettuabile sine titulo. 
    6.2. La questione oggetto di analisi da parte di  questa  Sezione
rappresenta il segmento di una complessa sequenza normativa  in  tema
di trattamento previdenziale dei pubblici dipendenti, di cui  occorre
dare qui conto,  al  fine  di  esaminarne  la  portata  nel  presente
giudizio. 
    Occorre premettere che nel settore  pubblico,  le  indennita'  in
esame presentano una natura retributiva (sentenza n.  243  del  1997,
punto 2.3. del Considerato in diritto), avvalorata dalla correlazione
della misura delle prestazioni con la  durata  del  servizio  che  le
attira nella sfera dell'art. 36 Costituzione  (Corte  costituzionale,
Sentenza n. 159/2019) e con la retribuzione di carattere continuativo
percepita in costanza di rapporto (sentenza n. 106  del  1996,  punto
2.1. del Considerato in diritto),  ma  sono  corrisposte  al  momento
della cessazione dal servizio allo scopo precipuo  di  «agevolare  il
superamento delle difficolta' economiche che  possono  insorgere  nel
momento in cui viene meno la retribuzione» (sentenza n. 106 del 1996,
punto 2.1. del Considerato  in  diritto).  In  questo  si  coglie  la
funzione previdenziale che  coesiste  con  la  natura  retributiva  e
rappresenta  l'autentica  ragion   d'essere   dell'erogazione   delle
indennita' dopo la cessazione del rapporto di lavoro. 
    6.2.1. Le indennita'  di  fine  rapporto,  pur  nella  differente
configurazione  che  hanno  assunto  nel  volgere  degli   anni,   si
atteggiano  pertanto  come  «una  categoria  unitaria  connotata   da
identita' di natura  e  funzione  e  dalla  generale  applicazione  a
qualunque tipo di  rapporto  di  lavoro  subordinato  e  a  qualunque
ipotesi di cessazione del medesimo» (Corte  costituzionale,  sentenza
n. 243/1993, punto 5. del Considerato in diritto). 
    Inizialmente  tale  trattamento  era  costituito   esclusivamente
dall'indennita' di  buonuscita  disciplinata  per  i  dipendenti  del
comparto statale dal  decreto  del  Presidente  della  Repubblica  29
dicembre 1973, n. 1032 (Approvazione  del  testo  unico  delle  norme
sulle prestazioni previdenziali a  favore  del  dipendenti  civili  e
militari  dello  Stato)  e  dalla  indennita'  premio  di   servizio,
riconosciuta ai dipendenti del comparto locale dalla  legge  8  marzo
1968, n. 152 (Nuove norme in materia previdenziale per  il  personale
degli Enti locali) (Corte costituzionale, sentenza n. 244/2014). 
    L'art. 4, legge n. 152/68 in particolare dispone che l'indennita'
premio di servizio e' «pari  a  un  quindicesimo  della  retribuzione
contributiva  degli  ultimi  dodici  mesi,  considerata  in   ragione
dell'80% al sensi del successivo art. 11, per ogni anno di iscrizione
all'Istituto»;  il  successivo  art.  11,  intitolato   «misura   del
contributo  previdenziale»,  dispone,  al  primo   comma,   che   «il
contributo dovuto per  ogni  iscritto  ai  fini  del  trattamento  di
previdenza e' stabilito a  decorrere  dal  primo  marzo  1966,  nella
misura  del  5  per  cento  della  retribuzione  contributiva   annua
considerata in ragione dell'80 per cento  [...]»;  la  determinazione
della retribuzione contributiva e' fissata  dal  quarto  comma  dello
stesso art. 11, ove si stabilisce che la retribuzione contributiva e'
costituita  dallo  stipendio  o  salario  comprensivo  degli  aumenti
periodici, della tredicesima mensilita' e del valore degli assegni in
natura, spettanti per legge o regolamento e formanti parte integrante
ed essenziale dello stipendio stesso. 
    Successivamente,  l'art.  2  del  decreto  del   Presidente   del
Consiglio dei ministri 20 dicembre 1999, recante «Trattamento di fine
rapporto e istituzione dei fondi pensione  dei  pubblici  dipendenti»
(nel  testo  modificato  dall'art.  1  del  successivo  decreto   del
Presidente del Consiglio dei ministri  2  marzo  2001,  identicamente
denominato)  -  dando  concreta  attuazione  alle   previsioni   gia'
contenute nella legge 8 agosto 1995,  n.  335  (Riforma  del  sistema
pensionistico obbligatorio e  complementare),  rimaste  sino  a  quel
momento  inattuate  -  ha  disposto  il  passaggio  al   regime   del
trattamento di fine rapporto (TFR), di cui all'art. 2120  del  codice
civile, nei confronti del personale delle  pubbliche  amministrazioni
assunto (a tempo indeterminato) successivamente al 31 dicembre  2000;
dando cosi' luogo ad un duplice regime: TFS, per i dipendenti assunti
ante 2001 e TFR per i dipendenti assunti a partire dal 1° gennaio  di
detto anno. 
    L'evoluzione   normativa,   «stimolata    dalla    giurisprudenza
costituzionale» (sentenza n. 243 del 1993, punto 4.  del  Considerato
in diritto), ha ricondotto pertanto le indennita'  di  fine  rapporto
erogate nel settore pubblico al paradigma comune  della  retribuzione
differita con concorrente funzione previdenziale, nell'ambito  di  un
percorso di tendenziale assimilazione alle regole dettate nel settore
privato dall'art. 2120 del Codice civile (decreto del Presidente  del
Consiglio dei ministri 20 dicembre 1999, recante «Trattamento di fine
rapporto e istituzione dei fondi pensione dei pubblici  dipendenti»).
Tale processo di armonizzazione, contraddistinto anche  da  un  ruolo
rilevante dell'autonomia  collettiva  (sentenza  n.  213  del  2018),
rispecchia la finalita' unitaria dei trattamenti  di  fine  rapporto,
che si prefiggono di accompagnare il lavoratore nella  delicata  fase
dell'uscita dalla vita lavorativa attiva. 
    La  giurisprudenza  della  Corte  costituzionale  ha   precisato,
peraltro, che il trattamento di fine servizio e'  diverso  e  -  come
sottolineato dalla sentenza n. 223 del 2012 - normalmente  «migliore»
rispetto al trattamento di fine rapporto disciplinato dall'art.  2120
del codice civile, per cui il fatto  che  il  dipendente  -  che  (in
conseguenza del ripristinato  regime  ex  art.  37  del  decreto  del
Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973,  n.  1032)  ha  diritto
all'indennita' di buonuscita - partecipi al suo finanziamento, con il
contributo del 2,50% (sull'80% della sua retribuzione),  non  integra
un'irragionevole disparita' di trattamento rispetto al dipendente che
ha diritto al trattamento di fine rapporto. 
    Nonostante la vigenza delle norme piu' sopra citate,  la  Regione
Emilia-Romagna aveva ritenuto  di  adottare  una  propria  disciplina
sull'indennita' di fine servizio con la legge regionale  14  dicembre
1982, n. 58 recante «Omogeneizzazione del trattamento  di  previdenza
del personale regionale. In virtu' della legge in esame,  la  Regione
riconosceva ai propri dipendenti e ai loro  aventi  causa,  per  ogni
anno di servizio, un'integrazione al  trattamento  previdenziale,  al
fine di ricondurlo all'1/12 dell'80% dell'ultima retribuzione mensile
lorda, sul modello  dell'indennita'  di  buonuscita  riconosciuta  ai
dipendenti statali, partendo dall'1/15  dell'80%  della  media  delle
retribuzioni degli ultimi 12 mesi di servizio riconosciuto  a  titolo
di  TFS  (ex  INADEL).   Costituiva   presupposto   per   beneficiare
dell'istituto l'aver prestato almeno un anno  di  servizio  a  favore
della Regione. 
    Anche dopo la riforma del titolo V, con l'art. 15, comma 3, della
legge regionale 30 aprile 2015, n. 2 recante «Disposizioni  collegate
alla legge finanziaria per  il  2015»  il  legislatore  regionale,  a
fronte dell'introduzione del trattamento di fine rapporto  (TFR)  per
tutti i dipendenti pubblici assunti  successivamente  al  1°  gennaio
2001, era intervenuto, abrogando la l.r. n. 58  del  1982,  facendone
pero' salva l'applicazione ai dipendenti che  prima  dell'entrata  in
vigore delle nuove disposizioni (1° maggio 2015),  avessero  maturato
il  requisito  di  un  anno  di  servizio  presso   l'amministrazione
regionale previsto dalla stessa legge regionale. 
    Da ultimo, mediante l'art. 8  della  legge  regionale  29  luglio
2016,  n.  13  recante  «Disposizioni   collegate   alla   legge   di
assestamento e seconda variazione generale al bilancio di  previsione
della  Regione  Emilia-Romagna  2016-2018»,  l'assemblea  legislativa
regionale  e'  intervenuta  nuovamente,  fornendo  un'interpretazione
autentica dell'art. 15, comma 3, della legge regionale n. 2 del 2015:
precisando quindi che, trattandosi di norma abrogativa,  il  concetto
di dipendenti ivi previsto non Includeva i collaboratori regionali il
cui rapporto di lavoro si era instaurato successivamente  all'entrata
in vigore della l.r. n. 2 del 2015, ma si riferiva  esclusivamente  a
coloro che avevano maturato i requisiti per godere del TFS ex l.r. n.
58  del  1982  al  momento   dell'abrogazione   stessa.   In   virtu'
dell'interpretazione  autentica  cosi'  adottata,  la   clausola   di
salvaguardia introdotta  con  la  l.r.  n.  2  del  2015  si  doveva,
pertanto,  applicare  a  coloro  che  risultavano   gia'   dipendenti
regionali al 1° maggio 2015 e con almeno un anno di  servizio  al  30
aprile dello stesso anno. 
    6.2.2. Le norme regionali della cui  legittimita'  costituzionale
si dubita si appalesano in contrasto con l'art. 117,  secondo  comma,
lettera o), della Costituzione, nella parte  in  cui  riconoscono  il
trattamento di fine servizio citato che svolge nel contempo anche una
funzione previdenziale, pur conservando, per quanto sopra  detto,  la
natura di retribuzione differita. 
    Dopo la riforma  del  titolo  V,  e'  principio  pacifico  quello
secondo  cui  residua   solo   in   capo   al   legislatore   statale
nell'esercizio  della  sua  discrezionalita'  (Corte  costituzionale,
sentenza n.  244/2014),  la  possibilita'  di  stabilire  che  alcuni
dipendenti delle pubbliche amministrazioni godano del trattamento  di
fine servizio ed altri del trattamento  di  fine  rapporto.  Inoltre,
tale trattamento si' riverbera e ridonda  sulle  risorse  iscritte  a
bilancio,     in      quanto      -      come      avviene      nella
fattispecie-l'amministrazione regionale individua come detto appositi
fondi dedicati a compensare tale migliore trattamento. 
    6.2.3. Quanto al profilo  previdenziale  afferente  al  parametro
dell'art.  117,  secondo  comma,  lettera  o),  Costituzione  non  e'
dubitabile in primo luogo la natura giuridica del trattamento di fine
servizio, il cui carattere di retribuzione  differita  avente  natura
previdenziale  discende  dal  finanziamento   attraverso   contributi
distinti fra datore di lavoro e lavoratori: esso  si  differenzia  in
cio' dal TFR, che invece consiste in un accantonamento di  una  quota
di stipendio, rivalutato poi all'atto della cessazione  del  rapporto
di lavoro. 
    La Corte di Cassazione, sezione Lavoro, con ordinanza n. 7655 del
19 marzo  2019,  ha  da  ultimo  ribadito  che  la  natura  giuridica
previdenziale e' determinata dal dato strutturale di  un'obbligazione
posta a carico ad opera di disposizioni inderogabili  di  legge,  non
del  datore  di  lavoro,  ma  di  enti  gestori,  appunto,  di  forme
obbligatorie di previdenza e assistenza, che sono finanziati mediante
versamento di contributi (a  carico  dei  soggetti  del  rapporto  di
lavoro):  obbligazione  che,  di  conseguenza,  non  e'  inerente  al
rapporto di lavoro, ma al distinto, rapporto previdenziale di cui  il
primo rappresenta soltanto il presupposto. 
    In tema di previdenza l'orientamento della  Corte  costituzionale
e' stato omogeneo nel corso degli  anni,  nella  chiara  affermazione
della esclusiva competenza statale in materia. 
    Con la sentenza  n.  98  del  2013,  la  Corte  ha  censurato  il
legislatore regionale per il fatto di richiamare ed  utilizzare  «del
tutto  impropriamente  istituti   tipici   di   previdenza   sociale,
congegnati  dallo  Stato   (nell'esercizio   della   sua   competenza
esclusiva) per soddisfare altre finalita'»: essa  ha  contestualmente
ribadito che solo lo Stato puo'  estendere  l'ambito  soggettivo  e/o
oggettivo di applicazione di disposizioni che rientrano in materie di
competenza legislativa  esclusiva  statale,  tra  cui  specificamente
quello della previdenza sociale. 
    Tale principio era gia' stato affermato nella sentenza n. 325 del
2011,   che   preclude   l'ipotizzata   estensione   dell'ambito   di
applicazione  della  disciplina  previdenziale  statale  relativa  al
personale delle  pubbliche  amministrazioni  ai  dipendenti  pubblici
nominati assessori regionali, in quanto «non spetta alla legislazione
regionale disporre una equiparazione  del  trattamento  previdenziale
degli assessori regionali non consiglieri con quello degli  assessori
che ricoprano la carica di consigliere. Ove tale equiparazione  fosse
effettuata con legge regionale, come nel caso in esame, non  solo  si
avrebbe una lesione  della  competenza  legislativa  esclusiva  dello
Stato,  ma  si  determinerebbero  difformita'  nella  disciplina  del
trattamento previdenziale dei  dipendenti  pubblici  da  una  regione
all'altra». 
    Il richiamo alla necessita'  di  una  disciplina  necessariamente
unitaria e' presente anche nella sentenza n. 189 del 2011, in  merito
all'equiparazione, ai fini contributivi, al  lavoro  subordinato  del
servizio prestato in via precaria dal personale assunto per  chiamata
fiduciaria  nelle   segreterie   particolari   degli   amministratori
regionali: tale  disposizione,  nell'attribuire  ad  un  rapporto  di
lavoro  essenzialmente  precario   una   qualificazione   di   lavoro
subordinato, ai fini  pensionistici,  incide  in  modo  chiaro  nella
materia della «previdenza sociale» che, in  base  a  quanto  disposto
dall'art. 117, secondo comma, lettera o), Costituzione, rientra nella
competenza esclusiva dello Stato. 
    Occorre richiamare anche  la  sentenza  n.  244/2014,  la  quale,
esprimendosi in merito al differente calcolo del TFR (valevole per  i
dipendenti assunti a far dal 1° gennaio 2001)  rispetto  al  TFS,  ha
affermato che rientra nella discrezionalita' del  legislatore  (nella
fattispecie,  statale)  la  possibilita'  di  stabilire  che   alcuni
dipendenti delle pubbliche amministrazioni godano del trattamento  di
fine servizio piu' favorevole di altri. 
    Le norme  regionali  della  cui  legittimita'  costituzionale  si
dubita si appalesano quindi in  contrasto  con  l'art.  117,  secondo
comma, lettera o), della Costituzione, che  riserva  alla  competenza
legislativa  esclusiva  dello  Stato  fa  materia  della   previdenza
sociale, in quanto riconoscono una maggiorazione del  trattamento  di
fine servizio, che ha carattere di retribuzione  differita  e  natura
previdenziale. 
    Pare quindi insuperabile  la  competenza  esclusiva  dello  Stato
nella materia in esame,  non  possedendo  la  Regione  Emilia-Romagna
alcuna competenza  nelle  materie  concernenti  la  previdenza  e  le
assicurazioni  sociali.  Tale  essendo   il   quadro   normativa   di
riferimento, deve rilevarsene la sostanziale incompatibilita' con  la
competenza esclusiva dello Stato in materia di previdenza sociale. 
    Conseguentemente,  le  predette  considerazioni  concernenti   le
disposizioni introdotte  dalla  legge  regionale  n.  58/1982,  legge
regionale n. 2/2015 e  legge  regionale  n.  13/2016  evidenziano  il
dubbio di non manifesta infondatezza delle medesime  disposizioni  in
relazione  all'art.   117,   secondo   comma,   lettera   o),   della
Costituzione, che riserva alla competenza legislativa esclusiva dello
Stato la materia della previdenza sociale. 
    Occorre poi rilevare come per i dipendenti in regime di  TFS,  la
disciplina della prestazione  debba  essere  considerata  oggetto  di
riserva  di  legge,   come   confermato   da   un'ormai   consolidata
giurisprudenza amministrativa ed ordinaria, a partire dalla  sentenza
della Cassazione Civile  a  Sezioni  Unite  n.  3673/1997  (la  quale
stabili' che nell'ipotesi in cui la contrattazione collettiva dovesse
prevedere l'inclusione, ai fini dell'indennita' premio  di  servizio,
anche di voci retributive ulteriori  e  diverse  da  quelle  indicate
nella disposizione di cui all'art. 11, restrittivamente interpretata,
ha stabilito che il contrasto tra  le  disposizioni  -  collettiva  e
legislativa - non potrebbe che risolversi a  favore  di  quest'ultima
attesa la natura subprimaria della disciplina pattizia). 
    6.3. In secondo luogo, una volta acclarato che il trattamento  di
fine servizio, erogato ai  dipendenti  al  termine  del  rapporto  di
lavoro, corrisposto a titolo  di  indennita'  di  liquidazione  o  di
buonuscita,  ha  carattere  di  retribuzione   differita   e   natura
previdenziale,  con  contributi  distinti  fra  datore  di  lavoro  e
lavoratori,  diviene  naturale  inferire  che  le   norme   regionali
menzionate, disciplinano un particolare  aspetto  della  retribuzione
dei dipendenti regionali: per tale  profilo,  incidono  dunque  sulla
materia  dell'«ordinamento   civile»,   riservata   alla   competenza
esclusiva dello Stato la cui regolamentazione deve essere uniforme su
tutto il territorio nazionale. 
    Nel caso di specie, si palesa pertanto in contrasto  delle  norme
regionali censurate con i  parametri  costituzionali  evocati  ed  in
particolare con l'art. 117, secondo comma, lettera l) Costituzione. 
    Infatti, analogamente a  quanto  disposto  dalla  sentenza  Corte
costituzionale 146/2019, «le  norme  regionali  hanno  introdotto  la
previsione di un nuovo trattamento economico (...) per  il  personale
regionale che, oltre a non essere coerente con i criteri indicati dai
contratti collettivi di comparto, e' innanzi tutto in  contrasto  con
la riserva di competenza esclusiva assegnata al  legislatore  statale
dall'art. 117, secondo comma, lettera l), Costituzione in materia  di
ordinamento  civile.  A   questa   materia,   secondo   la   costante
giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis, sentenze n. 175 e n.  72
del 2017; n. 257 del 2016; n. 180 del 2015; n. 269, n. 211  e  n.  17
del 2014), deve ricondursi la disciplina del trattamento giuridico ed
economico dei dipendenti pubblici e quindi  anche  regionali,  «retta
dalle  disposizioni  del  Codice  civile   e   dalla   contrattazione
collettiva» nazionale, cui la legge dello Stato rinvia  (sentenza  n.
196 del 2018)». 
    6.3.1. Inoltre, il legislatore regionale non puo' sottrarsi, come
peraltro  gia'  evidenziato  dalla  Corte  costituzionale  (cfr.,  ex
multis, sentenza n. 61/2014), dal rispettare  le  norme  fondamentali
delle  riforme  economico-sociali  della  Repubblica  che   impongono
l'armonia  con  la  Costituzione  ed  i   principi   dell'ordinamento
giuridico della Repubblica. In  tale  prospettiva,  occorre  dare  il
dovuto risalto e richiamare i  «principi  dell'ordinamento  giuridico
della Repubblica» e  le  «norme  fondamentali  di  riforma  economico
sociale della Repubblica» che hanno regolato  fa  materia  in  esame.
Assumono quindi rilevanza le disposizioni rinvenibili nella legge  23
ottobre 1992, n. 421 (Delega al Governo per la razionalizzazione e la
revisione  delle  discipline  in  materia  di  sanita',  di  pubblico
impiego, di  previdenza  e  di  finanza  territoriale),  secondo  cui
all'art. 2, comma 1, lettera o), «1. Il Governo della  Repubblica  e'
delegato a emanare entro novanta giorni  dalla  data  di  entrata  in
vigore della presente legge uno o piu' decreti  legislativi,  diretti
al contenimento, alla razionalizzazione e al  controllo  della  spesa
per il settore del pubblico impiego, al miglioramento dell'efficienza
e della produttivita', nonche' alla sua riorganizzazione; a tal  fine
e' autorizzato a: o) procedere alla  abrogazione  delle  disposizioni
che prevedono automatismi che influenzano  il  trattamento  economico
fondamentale ed accessorio, e di  quelle  che  prevedono  trattamenti
economici accessori, settoriali, comunque  denominati,  a  favore  di
pubblici    dipendenti    sostituendole    contemporaneamente     con
corrispondenti disposizioni di accordi contrattuali anche al fine  di
collegare   direttamente   tali   trattamenti   alla    produttivita'
individuale e a quella  collettiva  ancorche'  non  generalizzata  ma
correlata all'apporto partecipativo, raggiunte nel  periodo,  per  la
determinazione  delle  quali  devono  essere  introdotti  sistemi  di
valutazione e  misurazione,  ovvero  allo  svolgimento  effettivo  di
attivita' particolarmente disagiate ovvero obiettivamente  pericolose
per l'incolumita' personale o dannose per la  salute;  prevedere  che
siano comunque fatti salvi i trattamenti  economici  fondamentali  ed
accessori  in  godimento  aventi  natura  retributiva   ordinaria   o
corrisposti con carattere di generalita' per ciascuna amministrazione
o ente; prevedere il principio della  responsabilita'  personale  dei
dirigenti in caso di attribuzione impropria dei trattamenti economici
accessori». In particolare, il successivo art. 2, comma 2, ha operato
una espressa qualifica delle disposizioni recate dal testo di legge e
dai relativi decreti delegati, imponendone  la  natura  di  «principi
fondamentali» (ai  sensi  dell'art.  117  della  Costituzione,  testo
previgente) e di «norme  fondamentali  di  riforma  economico-sociale
della Repubblica».  Testualmente  cosi'  recita  l'articolo:  «2.  Le
disposizioni del presente articolo e dei decreti legislativi in  esso
previsti costituiscono principi fondamentali ai sensi  dell'art.  117
della Costituzione».  Parimenti,  l'art.  1,  comma  3,  del  decreto
legislativo n. 165/2001, attuativo del citato art. 2 della  legge  n.
421/1992, e dell'art. 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n.  59,
afferma che  «Le  disposizioni  del  presente  decreto  costituiscono
principi fondamentali ai sensi dell'art. 117 della  Costituzione.  Le
Regioni a statuto ordinario si attengono ad essi tenendo conto  delle
peculiarita'   dei   rispettivi   ordinamenti».    Dalla    sintetica
ricostruzione effettuata, emerge e discende di tutta evidenza che  le
contestate  disposizioni  regionali,  oltre  ad   aver   preteso   di
disciplinare una materia di esclusiva competenza statale (ordinamento
civile),  hanno  pure  violato  norme  statali  le  cui  disposizioni
costituiscono principi fondamentali  ai  sensi  dell'art.  117  della
Costituzione. 
    6.3.2. Inoltre, proprio perche' il trattamento di  fine  servizio
e' normalmente «migliore» rispetto al trattamento  di  fine  rapporto
disciplinato dall'art. 2120 del codice civile (sentenza  n.  223  del
2012), le disposizioni  statali  citate  al  paragrafo  precedente  e
testualmente  qualificate,  come  visto,  «principi  fondamentali»  e
«norme fondamentali di riforma economico-sociale  della  Repubblica»,
paiono  idonee  a  determinare  la  violazione  dell'art.   3   della
Costituzione (principi di uguaglianza e ragionevolezza), delle  norme
regionali qui oggetto di esame,  nella  parte  in  cui  prevedono  un
emolumento per i dipendenti della Regione Emilia-Romagna che non pare
essere attribuito ai  dipendenti  pubblici  del  restante  territorio
nazionale,  quanto  meno  non  per  disposizione  statale.  Non  puo'
sfuggire, e anzi qui lo si vuole rammentare, che la Consulta ha  piu'
volte affermato (tra le  varie,  Corte  costituzionale,  sentenza  n.
151/2010) che la disciplina del rapporto  di  lavoro  del  dipendente
pubblico, anche regionale - ora contrattualizzato, rientrante appunto
nella  materia  dell'ordinamento   civile,   e'   tesa   ad   evitare
ingiustificate disparita' di trattamento tra i dipendenti di  diversi
soggetti pubblici datoriali, e deve essere «uniforme  sul  territorio
nazionale e imporsi anche alle Regioni a statuto speciale». Va da se'
che tale esigenza di uniformita' trae spunto dall'espressa previsione
contenuta nell'art. 1, comma 3, del decreto legislativo n.  165/2001,
secondo la quale «Le disposizioni del presente decreto  costituiscono
principi fondamentali ai sensi dell'art. 117 della  Costituzione.  Le
Regioni a statuto ordinario si attengono ad esse tenendo conto  delle
peculiarita' dei rispettivi ordinamenti». 
    Orbene, nel disciplinare la conservazione, seppur alle condizioni
temporali indicate dalle norme regionali  oggetto  di  scrutinio,  da
parte del dipendente pubblico di tale indennita' di fine servizio, le
medesime norme regionali si  pongono  in  contrasto  con  i  principi
fondamentali   dell'ordinamento   e   le   ora   menzionate    «norme
fondamentali». 
    6.3.3.  Ancora,  con  riferimento  all'art.  2  della  legge   n.
421/1992, e all'art. 11, comma 4,  della  legge  n.  59/1997,  ed  al
conseguente art. 7, comma 5, del decreto legislativo n.  165/2001  in
base al quale  «Le  amministrazioni  pubbliche  non  possono  erogare
trattamenti  economici   accessori   che   non   corrispondano   alle
prestazioni effettivamente rese»  come  ben  rilevato  dalle  Sezioni
riunite di controllo per il T.A.A., nell'ordinanza piu' volte citata,
«va evidenziato che lo Stato, ponendo i basilari fondamenti normativi
per  coordinare  la  finanza  pubblica  (art.   117,   terzo   comma,
Costituzione) - incluse le norme generali sui  trattamento  economico
dei pubblici impiegati - sia titolare della relativa potesta' proprio
al fine  dell'esercizio  della  suddetta  funzione  di  coordinamento
finanziario, anche in chiave di controllo ed indirizzo degli  effetti
economici derivanti dalle norme in tema di finanza pubblica». 
    6.4. Ad avviso di questo Collegio,  le  norme  censurate  con  la
presente ordinanza si pongono altresi' in contrasto con il  principio
della proporzionalita' della retribuzione rispetto «alla quantita'  e
alla qualita' dell'attivita' prestata»  come  sancito  dall'art.  36,
primo  comma,  Costituzione.  La  giurisprudenza,  come   detto,   ha
rimarcato  come  nel  settore  pubblico,  le  indennita'   in   esame
presentano una natura retributiva (sentenza n. 243  del  1997,  punto
2.3. del Considerato in diritto), avvalorata dalla correlazione della
misura delle prestazioni con la durata del  servizio  che  le  attira
nella sfera dell'art. 36 Costituzione (Corte costituzionale, sentenza
n.  159/2019)  e  con  la  retribuzione  di  carattere   continuativo
percepita in costanza di rapporto (sentenza n. 106  del  1996,  punto
2.1. dei Considerato in diritto): alla luce di cio', il  concetto  di
giusta retribuzione di  cui  all'art.  36  della  Costituzione,  che,
interpretato inizialmente  come  norma  meramente  programmatica,  ha
assunto negli anni una valenza di  norma  immediatamente  precettiva,
puo' avere una duplice lettura, ovvero nel senso di garanzia  di  uno
standard minimo di retribuzione per il lavoratore, ma  altresi'  come
fonte di un divieto di erogare nel rapporto di  lavoro  pubblico  (la
cui disciplina e' permeata  dall'esigenza  di  un  uso  rigoroso  del
denaro della collettivita', in conformita' al  canone  costituzionale
di economicita', efficienza ed efficacia dell'azione  della  pubblica
amministrazione) incrementi retributivi sulla base di meri meccanismi
automatici privi di ogni correlazione con l'attivita'  effettivamente
prestata. 
    6.4.1.  D'altro  canto,  il  principio  di   effettivita'   delle
prestazioni,  quale   corollario   del   valore   costituzionale   di
proporzionalita'   della   retribuzione   espresso    dall'art.    36
Costituzione, costituisce  una  prescrizione  generale  e  di  palese
evidenza che crea un nesso inscindibile di  corrispettivita'  tra  le
funzioni rese e la retribuzione delle stesse. Detto  principio  viene
recepito,  come  gia'  visto,  a  livello  di  legislazione   statale
dall'art. 7, comma 5, del decreto legislativo  n.  165/2001,  che  si
configura come norma interposta,  secondo  cui:  «Le  amministrazioni
pubbliche non possono erogare trattamenti economici accessori che non
corrispondano alle prestazioni effettivamente rese». 
    6.5.  La  Sezione  dubita  inoltre  della  compatibilita'   delle
disposizioni regionali con l'art. 119 letto in combinato disposto con
l'art. 117, terzo comma, della Costituzione. Si evidenzia al riguardo
che lo Stato, ponendo i basilari fondamenti normativi per  coordinare
la finanza  pubblica,  incluse  le  norme  generali  sul  trattamento
economico dei pubblici impiegati, e' titolare della relativa potesta'
proprio  al  fine   dell'esercizio   della   suddetta   funzione   di
coordinamento finanziario, anche in chiave di controllo ed  indirizzo
degli effetti economici derivanti dalle  norme  in  tema  di  finanza
pubblica. Il legislatore statale e' dunque chiamato a porre in essere
strumenti  efficaci  di  coordinamento  e  controllo  di   tutte   le
componenti  della   finanza   pubblica,   che,   senza   pregiudicare
l'autonomia   degli   enti    territoriali,    assicurino    tuttavia
un'evoluzione delle entrate e delle spese (ivi compresa, soprattutto,
la spesa in tema di personale)  coerente  con  gli  obiettivi  che il
Governo  e  il  Parlamento   hanno   fissato   negli   strumenti   di
programmazione   economico-finanziaria   a   livello   nazionale    e
comunitario. Nel caso di specie, infatti, la Regione  Emilia-Romagna,
con le leggi in esame, ha incrementato la spesa pubblica in  tema  di
personale, spesa che, secondo la giurisprudenza  costituzionale,  non
e' minuta  voce  di  dettaglio  delle  spese,  ma  si  presenta  come
fondamentale aggregato della  spesa  corrente  (nello  stesso  senso,
anche  la  Sezione  regionale   di   controllo   per   la   Campania,
nell'ordinanza citata n. 25/2018 ed  altresi'  Corte  costituzionale,
sentenza n. 108/2011 ivi citata). In  tal  senso,  emerge  con  ancor
maggior vigore l'importanza che assume il controllo della  spesa  del
personale al fine di conseguire obiettivi di finanza pubblica interni
e comunitari. Dunque, le relative  disposizioni  legislative  statali
assurgono a principio fondamentale, anche nel  quadro  dell'art.  117
Costituzione,  atteso  il  carattere   finalistico   dell'azione   di
coordinamento della finanza pubblica (Corte costituzionale,  sentenza
n. 108/2011; cfr. anche la sentenza n.  217/2012  e  la  sentenza  n.
61/2014).  Dunque,  se  a  livello  statale  sono   state   disegnate
predeterminate regole per la fissazione del  trattamento  retributivo
anche di fine rapporto, mediante istituti peculiari, e' evidente  che
tale  meccanismo  sia  stato  disegnato  al   fine   della   concreta
realizzazione di quel  coordinamento  voluto  dalla  Costituzione  ed
intestato innanzitutto allo  Stato  e  che  lo  stesso  debba  essere
osservato da parte del legislatore regionale, posto che altrimenti la
finalita' di coordinamento e controllo della spesa  pubblica  sarebbe
frustrata. 
    6.6. Incidendo in due materie di  competenza  esclusiva  statale,
quali la previdenza sociale e l'ordinamento civile (articoli  3,  36,
117, secondo comma, lettere  o)  e  l),  Costituzione)  la  normativa
censurata pone in essere una lesione  per  ridondanza  dei  parametri
finanziari di cui agli articoli 81, 97, 119 Costituzione. 
    Quanto al collegamento funzionale, nel presente  giudizio,  degli
art. 81 e 117, secondo  comma,  lettera  l),  Costituzione  e'  utile
ricordare come, «[s]econdo la costante giurisprudenza costituzionale,
a seguito della privatizzazione del pubblico impiego,  la  disciplina
del trattamento giuridico ed economico dei dipendenti pubblici -  tra
i quali, ai sensi dell'art. 1, comma 2, del  decreto  legislativo  30
marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull'ordinamento del  lavoro  alle
dipendenze delle amministrazioni pubbliche), sono ricompresi anche  i
dipendenti delle Regioni - compete unicamente al legislatore statale,
rientrando nella  materia  «ordinamento  civile»  (ex  multis,  Corte
costituzionale, sentt. n. 196/2018; 175 e n. 72/2017; n. 257/2016; n.
180/2015; n. 269, n. 211 e n. 17/2014)». 
    Analogo rapporto si verifica  con  la  materia  della  previdenza
sociale,  poiche'  le  somme   indebitamente   erogate   dagli   enti
territoriali  resistenti  costituiscono  la  base   delle   ulteriori
disposizioni che ne statuiscono la pensionabilita' e i relativi oneri
a carico degli enti datori di lavoro (Corte costituzionale,  sentenza
n. 138/2019). 
    Ne' si puo' dare ingresso a  una  diversa  interpretazione  delle
norme qui evocate, in quanto la indiscutibile formulazione  letterale
della norma dell'art. 15, comma 3, della legge  regionale  30  aprile
2015,  n.  2  non  esclude  ed  anzi  sembra  consentire   senz'altro
un'inammissibile    interpretazione    estensiva    degli    istituti
previdenziali in esame a favore anche dei dipendenti assunti sino  al
1° maggio 2015 e soggetti al regime di TFR, dilatando  la  componente
vincolistica di spesa cui occorre invece dare effettivo contenimento. 
    7.  Le  medesime  norme  regionali  paiono,  inoltre,  essere  in
contrasto rispetto ai parametri costituzionali degli artt.  3,  36  e
117, secondo comma, lettera l) e o), Costituzione. 
    7.1. Si dubita in particolare della reale  portata  di  legge  di
interpretazione  autentica  della  l.r.  n.  13/2016.   Al   di   la'
dell'espressa  rubrica  dell'art.  8  della   predetta   legge,   non
sussistevano le condizioni necessarie a  giustificare  l'adozione  di
una norma di interpretazione autentica, appalesandosi il reale  scopo
del legislatore quale quello di salvaguardare l'assetto  preesistente
rendendo «retroattivamente legittimo cio' che era illegittimo» (Corte
costituzionale,  sent  n.  209/2010,  punto  7  del  Considerato   in
diritto). 
    Occorre ricordare qui i limiti all'efficacia retroattiva di  tali
leggi, limiti che il giudice di legittimita' costituzionale definisce
come «valori di civilta' giuridica», quali «il rispetto del principio
di   ragionevolezza   che   ridonda   nel   divieto   di   introdurre
ingiustificate disparita' di trattamento; la tutela  dell'affidamento
legittimamente sorto nei soggetti quale  principio  connaturato  allo
Stato  di  diritto;  la  coerenza  e  la  certezza   dell'ordinamento
giuridico; il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al
potere giudiziario» (Corte costituzionale n. 397/1994;  nello  stesso
senso, piu' di recente, Corte costituzionale n. 69/2014, n.  308/2013
e n. 103/2013). 
    8. Infine, quanto alla valutazione delle ulteriori condizioni  di
costituzionalita' facenti capo alla Sezione, non appare possibile una
lettura  «costituzionalmente  orientata»  della  norma   stessa,   in
considerazione  del  chiaro  ed   ineludibile   disposto   precettivo
contenuto nella normativa di cui la Regione ha fatto applicazione per
l'appostamento in bilancio del Fondo predetto e di cui fa Sezione  ha
avuto modo di rilevare l'allocazione contabile. 
    L'indicata criticita' e' stata rappresentata dalla  Sezione  alta
Regione nel corso dell'udienza camerale, svoltasi  l'8  luglio  2019,
con la partecipazione della Procura regionale,  e  rappresentata  poi
nel corso dell'udienza del 24 luglio. 
    Similmente a quanto gia' evidenziato dal Collegio  campano  nella
sua ordinanza di rinvio  alla  Corte  costituzionale  (n.  25  dell'8
ottobre 2018), appare anche «nel caso di specie preclusa in  nuce  la
possibilita' di dare al  testo  legislativo  de  quo  un  significato
compatibile con i richiamati parametri costituzionali, in  quanto  la
sola possibilita' di lettura delle norme regionali denunciate, e' nel
senso che  con  esse  e'  stato  costituito  ed  alimentato  in  modo
illegittimo - id est, nel  caso  di  specie,  contrarlo  alle  regole
generali di contabilita' pubblica» un fondo  per  il  trattamento  di
fine servizio del personale dipendente della Regione  Emilia-Romagna,
«perche' contrastante con la riserva assoluta di legge statale  nella
materia  dell'ordinamento  civile,  (...).  Non  si  e',  dunque,  in
presenza di una pluralita' di interpretazioni possibili, tra le quali
scegliere  quella   che   conduce   ad   un   risultato   ermeneutico
costituzionalmente compatibile, ricusando  le  altre;  bensi'  di  un
articolato  normativa  inequivoco,  sia  per  l'ambito  ordinamentale
(quello civile) in cui esplica la sua azione, sia per l'oggetto della
disciplina recata, (...) costituito ed alimentato «al di fuori» delle
fonti normative costituzionalmente  prescritte».  Lo  stesso  dettato
normativo si appalesa in contrasto con la riserva di legge statale in
materia previdenziale, per i motivi piu' sopra riportati. 
    9. Il  Collegio  remittente,  tenuto  conto  della  piu'  recente
giurisprudenza costituzionale, che,  in  occasione  del  giudizio  di
parificazione del rendiconto regionale, ha esteso  la  legittimazione
della  Corte  dei  conti  a  sollevare  questione   di   legittimita'
costituzionale anche per  i  profili  concernenti  il  riparto  delle
competenze legislative Stato-Regione di  cui  all'art.  117,  secondo
comma, Costituzione, con ridondanza su  parametri  finanziari  (Corte
costituzionale nn. 146 e 138/2019; 196/2018),  valuta  di  non  poter
dare  applicazione  alle  norme  regionali   di   cui   si   sospetta
l'illegittimita' costituzionale e,  conseguentemente,  di  non  poter
parificare i capitoli di spesa richiamati, sospendendo, in parte qua,
il relativo giudizio di parificazione in attesa della pronuncia della
Corte costituzionale. 
    9.1. Come sottolineato dalla Corte costituzionale, «l'istituzione
dei nuovi fondi, prevista dalle norme regionali in  violazione  della
competenza  legislativa  esclusiva  statale,  ha  determinato,  quale
inevitabile conseguenza, un aggravio della  spesa  per  il  personale
regionale che, «per la sua importanza strategica,  [costituisce]  non
gia' una minuta voce di dettaglio nei bilanci  delle  amministrazioni
pubbliche, ma un importante aggregato della spesa di parte  corrente»
(fra le altre, sentenza n. 108 del 2011). Tale spesa, non autorizzata
dal legislatore statale (...), non puo'  trovare,  per  cio'  stesso,
legittima   copertura   finanziaria.   Essa   incide    negativamente
sull'equilibrio  dei  bilanci  e  sulla  sostenibilita'  del   debito
pubblico,  in  violazione  degli  articoli  81  e  97,  primo  comma,
Costituzione» (Corte costituzionale, sentenza n. 146/2019), 
    Il nesso funzionale che connette la violazione  della  competenza
statale sia in materia di «previdenza  sociale»  che  in  materia  di
«ordinamento civile» con la tutela del  bilancio  inteso  quale  bene
pubblico  viene  in  rilievo  in  modo  netto  nello  specifico  caso
sottoposto al vaglio di questa Corte (Corte costituzionale,  sentenza
n. 146/2019). 
    9.2. L'anzidetta connessione appare desumibile documentalmente in
particolare relativamente al capitolo fondo U89360, con una dotazione
pari  ad  euro  9.516.000,00  e  al  capitolo  U04150,  con  iniziale
stanziamento di euro 1.050.000,00, di cui euro  887.699,57  impegnati
nel corso del 2018. 
    Dalle acquisizioni istruttorie indicate  supra,  nella  parte  in
fatto, la movimentazione di tali capitoli e' stata  individuata  come
segue. 
    Il capitolo U89360, nel corso del 2018, non ha  fatto  registrare
movimentazioni, risultando, a fine esercizio, un accantonamento  pari
ad euro 9.516.000,00. 
    Il capitolo U04150 fa registrare impegni per  euro  887.669,57  e
autorizzazioni di cassa per euro 835.781,18. 
    9.3. Ebbene, l'illustrata  violazione  competenziale  ridonda  in
termini di lesione dei precetti contenuti  nei  parametri  finanziari
(articoli 81, 97 e 119 Costituzione), imponendo pertanto l'obbligo di
rilevazione da parte di questa Corte. 
    9.4. Appare, pertanto, rilevante e non manifestamente  infondata,
la questione di' legittimita' costituzionale  sollevata  in  rapporto
agli articoli 3, 36, 81, 97, 117, secondo comma, lettera l) e  o),  e
119, primo comma, della Costituzione. Ne'  osta  a  cio',  stante  il
predetto vincolo di destinazione attribuito alle somme appostate  nel
capitolo Fondo n. U89360, il  fatto  che  comunque  il  risultato  di
amministrazione della Regione Emilia-Romagna e' positivo, dal momento
che «L'avanzo di amministrazione, infatti,  non  puo'  essere  inteso
come una  sorta  di  utile  di  esercizio,  il  cui  impiego  sarebbe
nell'assoluta discrezionalita' dell'amministrazione.  Anzi,  l'avanzo
di amministrazione «libero» delle autonomie territoriali e'  soggetto
a un impiego tipizzato, in cui non rientrano  dazioni  retributive  e
previdenziali non  contemplate  dalla  legge»  (Corte  costituzionale
sentenza n. 138/2019, punto 7.1 del Considerato in diritto). 
    10. Ulteriore profilo di dubbio  di  legittimita'  costituzionale
riguarda gli articoli 1 e 8 della legge regionale 14  dicembre  1982,
n. 58 e l'art. 15, comma 3, della legge regionale 30 aprile 2015,  n.
2 in relazione all'art. 81, terzo comma, Costituzione, nella parte in
cui, per un verso, detti articoli omettono di prevedere  alcun  mezzo
di copertura dell'onere  dalle  stesse  previsto  (art.  1,  l.r.  n.
58/1982 e 15, comma 3, l.r. n. 2/2015),  limitandosi  a  rinviare  la
provvista alle previsioni di bilancio (art. 8 l.r. n. 58/1982) e, per
altro verso, presentano un'insufficiente  quantificazione  dell'onere
per il primo anno  (art.  8,  l.r.  n.  58  del  1982),  poiche'  non
supportata da alcuna documentazione tecnica a corredo,  e  un'assenza
di quantificazione dell'onere per gli anni successivi (art.  8,  l.r.
n. 58 del 1982 e art. 15, comma 3, l.r. n. 2 del 2015). 
    10.1. Quanto al primo profilo, sia gli articoli 1 e 8 della legge
n. 58 del 1982 che l'art. 15, comma 3, della legge n. 2 del 2015  non
indicano alcun mezzo di  copertura,  rimettendo  la  provvista  delle
risorse finanziarie alla legge di bilancio (l'art. 8 della  legge  n.
58 del 1982, cosi' dispone:  «All'onere  derivante  dall'applicazione
della  presente  legge,  previsto  per   l'esercizio   1983   in   L.
350.000.000,   l'amministrazione   regionale   fa   fronte   mediante
l'istituzione di un apposito capitolo nello stato di previsione della
spesa del bilancio per l'esercizio finanziario 1983 e  lo  storno  di
pari importo del fondo di riserva per le spese obbligatorie di cui al
Cap. 85100 dello stesso esercizio. Per gli anni successivi al 1983 lo
stanziamento di  spesa  sara'  determinato  annualmente  dalla  legge
regionale di bilancio a norma dell'art.  11,  comma  1,  della  legge
regionale 6 luglio 1977, n. 31, in ragione del prevedibile  andamento
delle collocazioni a riposo del personale interessato.»;  l'art.  15,
comma 3, cosi' dispone: «La legge regionale 14 dicembre 1982,  n.  58
(Omogeneizzazione  del  trattamento  di  previdenza   del   personale
regionale),  e'  abrogata.  Resta  salva  la  sua   applicazione   ai
dipendenti che abbiano maturato, prima dell'entrata in  vigore  della
presente legge, il requisito di un anno di servizio di  cui  all'art.
1, comma  terzo  della  legge  regionale  n.  58  del  1982.»);  tale
modalita' di copertura non e' pero' prevista tra quelle tipicamente -
con esplicito carattere  di  esclusivita',  il  tutto  in  attuazione
dell'art. 81 Costituzione - indicate nell'art. 17 della legge n.  196
del 2009, applicabile alle Regioni in  base  all'art.  19,  comma  2,
della stessa legge  (Corte  costituzionale,  sentt.  n.  26/2013;  n.
115/2012). 
    Difatti, le norme di legge in questione omettono completamente di
indicare la copertura dell'onere dalle stesse  recato  (peraltro  non
quantificato se non per il primo  anno),  copertura  naturalmente  da
calibrare  in  relazione  al  profilo  temporale  (e   quindi   anche
morfologico) dell'onere medesimo (art. 30, comma 6, legge n. 196  del
2009); e cio' in contrasto anche con la giurisprudenza costituzionale
secondo la quale  la  copertura,  oltre  a  dover  essere  credibile,
sufficientemente sicura, non arbitraria o  irrazionale  (sentenze  n.
238/2018; n. 70/2012, nn. 106 e 68/2011, n. 141  e  n.  100/2010,  n.
213/2008, n. 384/991 e n. 1/1966), deve essere anzitutto  contestuale
all'onere, anche in riferimento  all'evolversi  di  quest'ultimo  nel
tempo per esercizio. 
    10.1.1. A quest'ultimo riguardo, va evidenziato  come  la  citata
normativa regionale si ponga, pertanto, in contrasto con il requisito
della  necessaria  «contestualita'»  tra  previsione   dell'onere   e
apprestamento della correlata copertura  finanziaria,  laddove  tanto
l'art. 8 della legge regionale n. 58 del 1982 quanto l'art. 15, comma
3, della legge regionale n. 2 del  2015,  nel  prevedere  i  predetti
oneri di' spesa, rinviano alla provvista dei mezzi per  farvi  fronte
con la legge di bilancio. 
    Sul punto, vale ricordare che la  Corte  costituzionale  ha  piu'
volte ribadito  che  «l'art.  81,  quarto  [ora  terzo»  comma  della
Costituzione pone il principio  fondamentale  della  copertura  delle
spese, richiedendo la  «contestualita'»  tanto  dei  presupposti  che
giustificano  le  previsioni  di  spesa  quanto  di  quelli  posti  a
fondamento delle previsioni di entrata necessarie  per  la  copertura
finanziaria  delle  prime»  (sentt.  n.  197/2019,  punto  4.2.   del
Considerato in diritto; n. 213/2008). 
    10.1.2. Deve aggiungersi che, in tema di copertura  degli  oneri,
la Corte costituzionale ha ritenuto - conseguentemente  al  principio
della  contestualita'  -  che  non  puo'  essere  consentita  la  cd.
«copertura  ex  post»,  in  quanto   quest'ultima   non   corrisponde
all'affermata congruita' delle risorse  impiegate  per  la  specifica
finalita'  dell'equilibrio   (Corte   costituzionale,   sentenza   n.
26/2013). 
    10.1.3.  A  conferma  dell'inammissibilita'  del  riferimento  ai
successivi  bilanci  per  risolvere  il  problema  di  copertura,  va
ricordato che il bilancio a legislazione vigente e'  il  presupposto,
il consolidato da non peggiorare con la nuova  decisione  onerosa  di
cui alla norma primaria; il  nuovo  o  maggiore  onere  di  cui  alla
singola norma onerosa approvata successivamente al bilancio non  deve
dunque gravare In senso peggiorativo su  quest'ultimo,  esigendo,  di
conseguenza, un'apposita autonoma e contestuale copertura.  L'attuale
terzo comma dell'art. 81 Costituzione costituisce  dunque  tutela  ex
post dell'equilibrio di cui al primo comma fissato con  la  legge  di
bilancio, il che conferma che esso continua a riferirsi  propriamente
a leggi diverse da quella di bilancio  (sottoposta  a  sua  volta  ad
altri vincoli), ossia alle  leggi  ordinarie  onerose,  quali  quelle
regionali oggetto di scrutinio (cfr. Corte  costituzionale,  sentenza
n. 70/2012). 
    10.1.4. Va, peraltro, considerato che l'originario art. 11, comma
1, della legge regionale 6 luglio 1977, n. 31 - al  quale  l'art.  8,
comma 2, della l.r. n. 58 del 1982 fa rinvio - risulta  essere  stato
abrogato dall'art. 74, comma 1, lettera b), l.r. 15 novembre 2001, n.
40 (Ordinamento contabile della Regione  Emilia-Romagna,  abrogazione
della L.R. 6 luglio 1977, n. 31 e della L.R. 27 marzo 1972, n. 4),  e
sostituito dal vigente art. 37 della medesima l.r. n.  40  del  2001,
disposizione che trova riscontro nell'art. 38, comma 1,  del  decreto
legislativo 23 giugno 2011 e successive  modificazioni,  in  base  al
quale «Le leggi regionali che prevedono  attivita'  od  interventi  a
carattere continuativo o ricorrente determinano  di  norma  solo  gli
obiettivi da raggiungere e le procedure da  seguire,  rinviando  alla
legge di  bilancio  la  determinazione  dell'entita'  della  relativa
spesa». 
    In realta',  la  norma,  a  sua  volta,  si  limita  a  ricalcare
l'analoga disposizione  di  cui  all'art.  30,  comma  6,  primi  due
periodi, della  legge  di  contabilita'  statale  n.  196  del  2009,
riferita alle leggi ordinarie dello Stato (e  dunque  per  relationem
regionali),  disposizione,  a  sua  volta,  del  tutto  coerente  con
l'ordinamento, a partire dai  principi  costituzionali  di  cui  agli
articoli 81 e 97, primi commi, Costituzione, e di cui va rimarcato il
presupposto: in tanto e' possibile  rinviare  la  quantificazione  al
bilancio degli oneri nel corso del tempo in quanto trattisi di  onere
di natura non obbligatoria. nel caso  in  esame  cio'  non  accade  e
quindi trova piena applicazione il combinato disposto tra art.  17  e
art. 30, comma 6, primo periodo, in base al quale la copertura di cui
alla legge sostanziale deve seguire  l'onere  per  singolo  esercizio
fino alla vigenza della legga medesima. 
    Va tenuto conto che, nel rapporto  tra  legge  ordinaria  onerosa
(nella specie le citate leggi  regionali)  e  bilancio,  fondamentale
rimane sempre il tipo di vincolo che la  prima  imprime  al  secondo:
cio'  significa,  per  le  leggi  pluriennali  di   spesa,   che   la
possibilita' di far riferimento ai  bilanci  futuri  per  individuare
l'onere (e dunque la copertura) e' ammissibile alla  sola  condizione
della  piena  flessibilita'  dell'onere,  sfruttando  la  quale   gli
strumenti di bilancio possono assolvere i propri obblighi  di  recare
stanziamenti per dare attuazione alle leggi  in  vigore  in  coerenza
pero' con i vincoli di finanza pubblica; ebbene detta condizione,  in
considerazione della  tipologia  dell'onere  in  questione,  qui  non
ricorre, stante la predeterminazione ex lege del  meccanismo  che  ne
regola l'evoluzione (art. 1, l.r. n. 58 del 1982) configurando  cosi'
una tipologia di onere da classificare come inderogabile, in base  ai
parametri di cui all'art. 21, comma 5, lettera  a),  della  legge  di
contabilita' nazionale. 
    10.1.5. Per le ragioni che precedono, sussiste dunque  il  dubbio
di legittimita'  costituzionale  delle  predette  disposizioni  delle
leggi  regionali  per   violazione   dell'art.   81,   terzo   comma,
Costituzione, non solo (in via  di  principio)  per  il  passato,  ma
segnatamente pro futuro, stanti l'assenza  di  copertura  finanziaria
degli oneri dalle stesse recati ed il  carattere  vincolato  di  tali
oneri,  privi   di   quella   flessibilita'   e   modulabilita'   che
costituiscono le condizioni per un  rinvio  alla  legge  di  bilancio
della relativa quantificazione  (e  quindi  ai  fini  della  relativa
copertura). 
    10.2. Quanto al secondo profilo, va, in primo luogo  evidenziato,
come l'originaria formulazione  della  norma,  che  indicava  l'onere
finanziario per euro 350 milioni di lire (art. 8 della l.r. n. 58 del
1982), non risulta suffragata da una specifica quantificazione. 
    Per gli anni successivi, il medesimo art. 8 della l.r. n. 58  del
1982  e  il  successivo  art.  15,  comma,   3   omettono   qualsiasi
quantificazione dell'onere, con cio'  incorrendo  nella  lesione  del
descritto essenziale requisito della  «contestualita'»  tra  onere  e
mezzi per farvi fronte  e  soprattutto  dell'obbligo  prioritario  di
indicare l'onere per singolo esercizio, non  ricorrendone  la  natura
flessibile, come prima evidenziato per altro verso, unica  condizione
per ritenere ammissibile la mancata indicazione dell'onere. 
    10.2.1. In tema di quantificazione degli oneri, si ricorda che la
citata norma di cui all'art. 17 della legge n. 196 del 2009 considera
attuativo dell'art. 81 Cast.  anche  l'obbligo  di  un'esplicitazione
degli oneri  nella  singola  disposizione  legislativa,  naturalmente
secondo il parametro della veridicita', rispetto  a  cui  e'  infatti
funzionale l'obbligo (parimenti previsto dall'art. 17 citato) in capo
al Governo (nella specie  della  Giunta)  di  corredare  le  proposte
normative  con  una  relazione  tecnica   da   cui   si   evinca   la
sostenibilita' dell'onere cosi' come riportato, e'  evidente  infatti
che una quantificazione attendibile costituisce il presupposto per un
assolvimento effettivo dell'obbligo di copertura, il che fornisce una
spiegazione dei fatto che il richiamato art. 17 della  legge  n.  196
anzitutto  imponga  l'obbligo   di   riportare   la   quantificazione
dell'onere e solo  successivamente  rechi  l'elenco  esclusivo  delle
modalita'  di  copertura  ammesse.  Invero,  anche   il   legislatore
regionale e' chiamato al rispetto dell'obbligo (art. 17, come  si  e'
visto, richiamato dall'art. 19  della  legge  n.  196  del  2009)  di
redigere una relazione tecnica giustificativa degli  stanziamenti  di
bilancio ed illustrativa  delle  modalita'  dinamiche  attraverso  le
quali qualsiasi sopravvenienza possa essere gestita  in  ossequio  al
principio dell'equilibrio del bilancio (Corte costituzionale,  sentt.
n. 26/2013; n. 313/1994). 
    10.2.2. Invero, a tale ultimo riguardo, come evidenziato al punto
2.16. del Ritenuto in fatto, la quantificazione dell'onere del  primo
anno, come ricostruita dall'Amministrazione  regionale  in  occasione
dei    citati    approfondimenti    istruttori,    appare    comunque
sottodimensionata, tenuto conto della  latitudine  applicativa  della
norma:  complessivamente  i  dipendenti  che,  successivamente   alla
liquidazione   da   parte   dell'Inps,   possono    fare    richiesta
dell'integrazione regionale, come quantificati dalla Regione in  sede
istruttoria, al 31 dicembre 2018, sono 1.683, di cui 1.498 dipendenti
in servizio e  185  cessati.  Tale  quantificazione,  effettuata  nel
settembre  2017  -  precisa  infine  l'Ente   -   ha   portato   alla
determinazione dell'importo dell'accantonamento stimato pari  a  euro
9.516.000,00. 
    10.2.3. In merito deve pero' rilevarsi  come  la  quantificazione
del Fondo possa ritenersi non corretta in difetto, in  quanto,  sulla
base dell'inequivocabile e chiara  formulazione  letterale  dell'art.
15,  comma  3,  della  legge  regionale,  n.  2/2015  (che  fa  salva
l'applicazione della legge regionale  n.  58/1982  ai  dipendenti  in
servizio al 1° maggio 2015, come interpretato dalla successiva  legge
regionale n. 13/2016), non  puo'  escludersi  che  l'integrazione  in
questione possa essere riconosciuta anche al personale in  regime  di
trattamento di fine rapporto e dunque non soltanto  al  personale  in
regime di trattamento di fine servizio. 
    10.2.4.  L'illustrata  antinomia  logica  afferente  la   precisa
individuazione della platea dei potenziali  beneficiari,  che  emerge
documentalmente dal  raffronto,  da  un  lato,  tra  i  dati  forniti
dall'Amministrazione regionale (limitata solo ai dipendenti in regime
di TFS) e, dall'altro, dalla surriferita indicazione  normativa  (che
non sembra invece tollerare tali limitazioni, per essere  estensibile
anche al personale in regime di TFR),  si  riverbera  in  termini  di
violazione del citato precetto costituzionale (art. 81, terzo  comma,
Costituzione).