LA CORTE DEI CONTI Sezione regionale di controllo per l'Emilia-Romagna composta dai magistrati: dott. Marco Pieroni, Presidente; dott. Massimo Romano, consigliere; dott. Paolo Romano, consigliere; dott. Alberto Stancanelli, consigliere (relatore); dott. Tiziano Tessaro, consigliere (relatore); dott. Federico Lorenzini, primo referendario, ha pronunciato la seguente ordinanza nel giudizio di parificazione del rendiconto generale della Regione Emilia-Romagna per l'esercizio finanziario 2018. Visti gli articoli 3, 36, 81, 97, 100, secondo comma, 101, secondo comma, 103, secondo comma, 108, 117, secondo comma, lettere l) e o), 119, primo comma, e 134 della Costituzione; Visto l'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1; Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Visto il testo unico delle leggi sulla Corte dei conti, approvato con regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214 e successive modificazioni; Visto il decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 dicembre 2012, n. 213; Vista la nota del 7 maggio 2019 con la quale la Regione Emilia-Romagna ha comunicato l'avvenuta pubblicazione del progetto di legge sul rendiconto 2018, completo del conto economico e dello stato patrimoniale, unitamente alla relazione sulla gestione, sul BUR (Bollettino Ufficiale della Regione) - Supplemento speciale 267 del 6 maggio 2019; Visto il resoconto della riunione dell'8 luglio 2019 tenuta con i rappresentanti della Regione per discutere, in contraddittorio, le osservazioni dei Magistrati istruttori; Vista l'ordinanza n. 34 dell'8 luglio 2019 con cui il Presidente della Sezione regionale di controllo per l'Emilia-Romagna ha convocato la Sezione per il giorno 16 luglio 2019 per il giudizio di parificazione del rendiconto generale della Regione Emilia-Romagna per l'esercizio finanziario 2018; Vista la requisitoria della Procura regionale presso la Sezione giurisdizionale per la Regione Emilia-Romagna del 16 luglio 2019; Vista la decisione n. 47/PARI/2019 con la quale la Sezione regionale di controllo per l'Emilia-Romagna ha parificato, parzialmente, il rendiconto per l'esercizio finanziario 2018 della Regione Emilia-Romagna; Vista l'ordinanza istruttoria del Presidente della Sezione regionale di controllo per l'Emilia-Romagna n. 35 del 16 luglio 2019; Vista la memoria depositata dalla Procura presso la Sezione giurisdizionale regionale dell'Emilia-Romagna in data 24 luglio 2019; Vista la memoria depositata dalla Regione Emilia-Romagna in data 23 luglio 2019; Uditi i relatori Cons. Alberto Stancanelli e Cons. Tiziano Tessaro; Uditi i rappresentanti della Regione; Udito il Procuratore presso la Sezione giurisdizionale regionale per l'Emilia-Romagna; Ritenuto in fatto 1. Con nota n. 3709 del 7 maggio 2019, la Regione Emilia-Romagna ha comunicato la pubblicazione del Progetto di legge «Rendiconto generale della Regione Emilia-Romagna per l'esercizio 2018» sul bollettino ufficiale della Regione, ai fini della parifica, il rendiconto generale della Regione per l'esercizio 2018, completo del conto economico e dello stato patrimoniale, unitamente alla relazione sulla gestione e al disegno di legge di approvazione del rendiconto. 2. L'esame della documentazione, trasmessa alla Corte, pone in evidenza come, nell'esercizio 2018, la Regione, nell'ambito della facolta' di accantonamento di fondi per passivita' potenziali attribuita dall'art. 46, comma 3, del decreto legislativo n. 118/2011, ha costituito due ulteriori nuovi accantonamenti: il Fondo per l'integrazione regionale all'indennita' di fine servizio e il Fondo per spese elettorali. 2.1. In particolare, occorre considerare il «Fondo per l'integrazione regionale all'indennita' di fine servizio», spettante ai sensi dell'art. 15, comma 3, della legge regionale 30 aprile 2015, n. 2 secondo i termini e le modalita' gia' previste della legge regionale 14 dicembre 1982, n. 58, di cui alla Missione 20 «Fondi e accantonamenti», Programma 3, «Altri fondi», allocato al capitolo U89360 «Fondo di accantonamento per l'integrazione regionale all'indennita' di fine servizio» del conto consuntivo 2018, che alla data del 31 dicembre 2018 reca la disponibilita' di euro 9.516.000,00. Dalla documentazione acquisita agli atti e dalla interrogazione del sistema informatico, e' emerso che tali risorse afferiscono ad un apposito trattamento previdenziale di fine servizio che l'amministrazione regionale ha previsto, a carico del bilancio, a favore dei propri dipendenti contemplato dalla normativa regionale di cui appresso. 2.1.1. La legislazione regionale autorizzatoria della spesa e' rinvenibile: nell'art. 1 della legge regionale 14 dicembre 1982, n. 58; nell'art. 15 della legge regionale 30 aprile 2015, n. 2, il cui comma 3, in particolare, stabilisce che «La legge regionale 14 dicembre 1982, n. 58 (Omogeneizzazione del trattamento di previdenza del personale regionale), e' abrogata. Resta salva la sua applicazione ai dipendenti che abbiano maturato, prima dell'entrata in vigore della presente legge, il requisito di un anno di servizio di cui all'art. 1, comma terzo della legge regionale n. 58 del 1982»; nell'art. 8 della legge regionale 29 luglio 2016, n. 13, concernente «Interpretazione autentica dell'art. 15 della legge regionale n. 2 del 2015», a mente del quale «Il secondo periodo del comma 3 dell'art. 15 della legge regionale 30 aprile 2015, n. 2 (Disposizioni collegate alla legge finanziaria per il 2015) si interpreta nel senso che la salvaguardia si applica ai dipendenti in servizio presso l'amministrazione regionale alla data di entrata in vigore della norma stessa». 2.1.2. La citata legge regionale n. 58/1982, che costituisce il presupposto autorizzativo di legge sostanziale, sulla base dell'art. 15, comma 3, della l.r. n. 2/2015 prevedeva per i dipendenti della Regione, fino all'entrata in vigore di una diversa disciplina generale dell'indennita' di fine servizio per tutto il settore del pubblico impiego (art. 1, primo comma, della legge regionale n. 58/1982), l'erogazione per ogni anno di servizio di un trattamento previdenziale (indennita' di fine servizio) pari a 1/12 dell'80 per cento dell'ultima retribuzione mensile lorda. La Regione poneva e pone a proprio carico l'eventuale differenza fra la somma lorda cosi' determinata (assunta a minuendo) e quella lorda (assunta a sottraendo), corrisposta a titolo di indennita' premio servizio, di indennita' di buonuscita, di indennita' di anzianita', o ad altro analogo titolo, dalla stessa Regione e dall'ente presso il quale era instaurato il rapporto previdenziale (art. 1, secondo comma, legge citata). La legge regionale n. 58 del 1982 - che avrebbe dovuto avere vigenza «fino all'entrata in vigore di una diversa disciplina generale dell'indennita' di fine servizio per tutto il settore del pubblico impiego» - ha mantenuto vigenza fino al 2015, quando detta legge e' stata abrogata dall'art. 15, comma 3, della legge regionale 30 aprile 2015, n. 2, che ne ha mantenuto l'applicazione ai' dipendenti che avessero maturato il requisito di un anno di servizio alla sua data di entrata in vigore. Successivamente, con l'art. 8 della legge regionale 29 luglio 2016, n. 13, di interpretazione autentica, e' stato previsto che «il secondo periodo del comma 3 dell'art. 15 della legge regionale 30 aprile 2015, n. 2 (Disposizioni collegate alla legge finanziaria per il 2015) si interpreta nel senso che la salvaguardia si applica ai dipendenti in servizio presso l'amministrazione regionale alla data di entrata in vigore della norma stessa». 2.2. Sul piano contabile, emerge dall'acquisizione istruttoria che, nell'esercizio 2018, e' stato costituito per la prima volta il predetto Fondo al cap. U89360 con una dotazione pari a 9,516 mln di euro, somma quantificata sulla base del maturato al 31 dicembre 2017, al netto delle anticipazioni erogate, per tutti i dipendenti che nel 2018 avessero diritto, secondo i criteri applicativi adottati dalla Regione, all'integrazione. Le ulteriori acquisizioni istruttorie hanno dimostrato che le risorse a cio' destinate afferiscono a due distinti capitoli: il fondo viene stanziato al gia' citato capitolo U89360, ed assume la denominazione di fondo di accantonamento per l'integrazione regionale all'indennita' di fine servizio, mentre la concreta movimentazione degli impegni afferisce al capitolo U04150 (denominato oneri dipendenti dalla integrazione regionale della indennita' premio di servizio Inadel e della indennita' di buonuscita Enpas dall'anticipazione della suddetta integrazione, dalla corresponsione della indennita' premio di servizio ai personale per il quale non opera la ricongiunzione dei servizi (l.r. 14 dicembre 1982, n. 58 e art. 15, comma 3, l.r. 30 aprile 2015, n. 2; l.r. 5 maggio 1980, n. 29 e art. 63, l.r. 26 novembre 2001, n. 43). 2.3. Orbene, si tratta di verificare la legittimita' delle riferite appostazionl contabili e, correlativamente, della normativa che contempla il trattamento di fine servizio, funzionale alla parificazione dei suddetti capitoli nel rendiconto 2018. Come anticipato, nel corso del 2018, stante il predetto vincolo di destinazione attribuito alle somme appostate nel capitolo Fondo n. U89360, l'accantonamento determina un vincolo di destinazione della spesa regionale, con cio' riducendo la disponibilita' delle risorse per altre finalita' e contestualmente diminuendo la quota parte delle risorse finanziarie disponibili. Vale al proposito ricordare quanto affermato di recente dalla Corte costituzionale secondo la quale «L'avanzo di amministrazione, (...), non puo' essere inteso come una sorta di utile di esercizio, il cui impiego sarebbe nell'assoluta discrezionalita' dell'amministrazione. Anzi, l'avanzo di amministrazione «libero» delle autonomie territoriali e' soggetto a un impiego tipizzato, in cui non rientrano dazioni retributive e previdenziali non contemplate dalla legge» (sent. n. 138/2019, punto 7.1 del Considerato in diritto). Inoltre, le sopra citate norme (e le somme che sulla base di queste dovessero essere erogate) appaiono di sospetta illegittimita' costituzionale: l'art. 1 della legge regionale n. 58/1982, l'art. 15, comma 3, della legge regionale n. 2/2015 e l'art. 8 della legge regionale n. 13/2016, che nel loro combinato disposto, hanno previsto il Fondo per l'integrazione regionale all'indennita' di fine servizio la cui applicabilita' e' stata confermata, pur dopo l'abrogazione della citata legge regionale n. 58, ai dipendenti in servizio presso l'amministrazione regionale alla data del 1° maggio 2015 (ex art. 15, comma 3, della legge regionale n. 2/2015 e art. 8 della legge regionale n. 13/2016). In particolare, le norme in esame risulterebbero costituzionalmente illegittime per contrasto con gli articoli 3, 36, 81, 97, 101, secondo comma, 103, secondo comma, 108, 117, secondo comma, lettera l) e o), e 119, primo comma, della Costituzione. 2.4. Nel corso del contraddittorio i rappresentanti regionali hanno chiarito di aver effettuato i predetti accantonamenti nel 2018 in quanto, relativamente al Fondo per l'integrazione regionale per l'indennita' di fine servizio, «e' stato necessario quantificare, anche a seguito della modifica normativa, l'importo base del maturato, al netto delle anticipazioni erogate, per tutti i dipendenti che avevano diritto all'integrazione» (cfr., pag. 126 della relazione al rendiconto e nota prot. 4520 dell'8 luglio 2019 trasmessa dall'Amministrazione regionale in vista del contraddittorio 24 luglio 2019). La tabella che segue espone le risorse accantonate nel risultato di amministrazione 2018 (cfr. allegato n. 35 del Rendiconto «Elenco analitico delle risorse accantonate rappresentate nel prospetto del risultato di amministrazione» pag.761). Concorre a comporre detto risultato di amministrazione il «Fondo di accantonamento per l'integrazione regionale all'indennita' di fine servizio» per complessivi euro 9.516.000,00. Parte di provvedimento in formato grafico Fonte: Bollettino ufficiale Emilia-Romagna, supplemento speciale n. 267 del 6 maggio 2019. 2.5. E', altresi', emerso dalle ulteriori acquisizioni istruttorie che per le finalita' in esame vi e' un altro capitolo interessato, in relazione al quale il Collegio ha sospeso il giudizio di parificazione, ovverosia il capitolo di spesa U04150 - la cui denominazione e' la seguente: «Oneri dipendenti dalla integrazione regionale della indennita' premio di servizio Inadel e della indennita' di buonuscita Enpas dall'anticipazione della suddetta integrazione, dalla corresponsione della indennita' premio di servizio al personale per il quale non opera la ricongiunzione dei servizi (l.r. 14 dicembre 1982, n. 58 e art. 15, comma 3, l.r. 30 aprile 2015, n. 2; l.r. 5 maggio 1980, n. 29 e art. 63 l.r. 26 novembre 2001, n. 43» - che presentava alla data del 1° dicembre 2018 uno stanziamento di competenza di euro 1.050.000,00, impegni in corso d'anno per euro 887.669,57, pagamenti in conto competenza per euro 805.663,58, pagamenti in conto residui per euro 30.117,60, pagamenti complessivi, a fine esercizio 2018, per euro 835.781,18. In particolare, in occasione dell'approfondimento istruttorio del 23 luglio 2019, l'Amministrazione regionale - oltre a confermare le suddette risultanze, confermate tra l'altro dalla tavola n. 3.14 della relazione al conto consuntivo - ha prodotto un elenco delle risorse affluite sul capitolo U04150, di seguito indicate. Parte di provvedimento in formato grafico Dalla documentazione in atti emerge quindi che l'amministrazione, sulla base delle norme che la autorizzavano a cio', ha destinato annualmente per il trattamento di fine servizio dei dipendenti contemplati dalla normativa sopra riferita, una somma variabile che ha avuto evidenza tuttavia solo a partire dal 2018 con l'istituzione dell'apposito fondo al cap. U89360. 2.6. In merito al citato stanziamento di 9,516 milioni di euro, di cui al capitolo n. U89360, nonche' quelle allocate al capitolo n. U04150, relativi alla corresponsione dell'integrazione del trattamento di fine servizio per il personale della Regione, pari ad impegni per euro 887.669,57 e pagamenti per euro 835.781,18, la Sezione rileva che: il trattamento di fine servizio (TFS) e' l'indennita' corrisposta, alla fine, del rapporto di lavoro, ai dipendenti pubblici assunti prima del 1° gennaio 2001. Per i dipendenti statali essa e' denominata indennita' di buonuscita o assegno vitalizio ed e' disciplinata dal decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1032; per i dipendenti degli enti locali e' denominata indennita' di' premio servizio ed e' disciplinata dalla legge 8 marzo 1968, n. 152. Rispetto al TFR, che ha natura contributiva, il TFS ha carattere di salario differito e funzione previdenziale e attiene, proprio per la sua natura, al rapporto di lavoro dei dipendenti. Mentre nel TFR l'accantonamento e' a totale carico del datore di lavoro, nel TFS i contributi previdenziali vengono versati sia dal datore di lavoro che dal dipendente. La natura del TFS riconduce dunque le norme che disciplinano lo stesso alle materie del rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici e della previdenza sociale; l'art. 15 della legge regionale n. 2 del 2015, come interpretato dalla successiva legge regionale n. 13 del 2016, pur avendo abrogato la richiamata legge regionale n. 58 del 1982, ha disposto un'ultrattivita' della stessa legge regionale del 1982, prevedendo sostanzialmente una disposizione transitoria che attribuisce l'integrazione del trattamento di fine servizio, come calcolata dall'art. 1 della legge regionale abrogata, al personale in servizio da almeno un anno alla data di entrata in vigore della stessa legge regionale n. 2 del 2015, ossia al 1° maggio 2015. La disposizione di cui al precedente primo comma opera dopo almeno un anno di servizio prestato a favore della Regione, indipendentemente se e presso quale ente maturi il diritto a pensione e indipendentemente altresi' da qualsiasi causa di cessazione (art. 1, terzo comma, legge regionale n. 58/1982). 2.7. Nella specie, il giudizio di parifica riguarda, dunque, sia il capitolo-Fondo U89360 (di importo pari ad euro 9.516.000,00) sia il capitolo U04150 (che presenta alla data del 31 dicembre 2018 una disponibilita' di euro 1.050.000,00 di competenza), 2.8. Ebbene, tale giudizio non puo' essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione riguardante la legittimita' costituzionale della citata legislazione regionale che ne costituisce il presupposto legislativo sostanziale (cfr. art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87); donde la «rilevanza» della questione ai fini del decidere. 2.9. Occorre infatti evidenziare che la citata legislazione regionale in tema di trattamento di fine servizio costituisce il presupposto sostanziale delle risorse movimentate su entrambi i citati capitoli riportati nel conto consuntivo all'esame: il capitolo-fondo U89360 ed il capitolo U04150. 2.10. Questa Sezione, nel giudizio di parifica dei predetti capitoli concernenti la spesa del personale, deve pertanto decidere dell'applicazione di norme di leggi regionali di cui si contesta la legittimita' costituzionale. Qualora, infatti, fosse acclarata l'illegittimita' delle norme sopra richiamate, rilevanti ai fini del bilancio regionale (in quanto, in particolare, il combinato disposto degli articoli art. 15, comma 3, della legge regionale n. 2/2015 e art. 8 della legge regionale n. 13/2016 fa salva l'applicazione del trattamento previdenziale - indennita' di fine servizio - per i dipendenti regionali in servizio al 1° maggio 2015), le corresponsioni dei relativi importi ai beneficiari individuati dalle norme, risulterebbero prive di copertura normativa sostanziale, con possibilita' di non parificare i relativi capitoli. La materia in esame rientrerebbe, in particolare, come si avra' modo di' sottolineare, nell'ambito della previdenza sociale e dell'ordinamento civile, in quanto tale riservata allo Stato ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera l) e lettera o), della Costituzione. 2.11. Ulteriori profili di dubbio di legittimita' costituzionale - come sara' evidenziato nel Considerato in diritto - riguarda, altresi', un possibile diretto contrasto della citata normativa sostanziale con l'art. 81 Costituzione. 2.12. Nella pubblica udienza del 16 luglio 2019, il contraddittorio si e' svolto con l'intervento del Magistrato correlatore - che ha rappresentato il precitato dubbio di legittimita' costituzionale - del Procuratore regionale e del rappresentante del Presidente della Giunta regionale. 2.13. La Procura, in particolare, nel corso della requisitoria del 16 luglio 2019, ha chiesto alla Sezione regionale di controllo di emettere la pronuncia di parificazione del Rendiconto generale della Regione Emilia-Romagna per l'esercizio finanziario 2018, nelle componenti del Conto del Bilancio, dello Stato Patrimoniale e del Conto Economico, ad eccezione delle poste di bilancio relative al Fondo di accantonamento per l'integrazione regionale all'indennita' di fine servizio, come indicato nella Requisitoria e nella discussione orale. 2.14. Con la decisione n. 47/2019 e' stato parificato il rendiconto generale della Regione Emilia-Romagna per l'esercizio 2018, ad eccezione, per quel che in questa sede rileva, dei capitoli U89360 ed U04150, con sospensione, in parte qua, del giudizio di parifica al fine di sollevare pregiudizialmente questione di legittimita' costituzionale: dell'art. 1 della legge regionale 14 dicembre 1982, n. 58; dell'art. 15, comma 3, della legge regionale 30 aprile 2015, n. 2; dell'art. 8 della legge regionale 29 luglio 2016, n. 13. 2.15. Il Presidente della Sezione regionale di controllo per l'Emilia-Romagna, pertanto, visto l'esito del giudizio di parificazione in data 16 luglio 2019, il cui dispositivo e' stato letto in udienza, con riferimento alla decisione della sospensione del giudizio di parifica per i capitoli U90360 e U04150, in via istruttoria, con ordinanza n. 35 del 16 luglio 2019, ha disposto che la Regione ricostruisse: a) le modalita' di quantificazione delle risorse accantonate sul capitolo fondo U89360, a decorrere dall'entrata in vigore della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, sottese alla legge regionale n. 58/1982, nonche' all'art. 15 della l.r. n. 2 del 2015; b) la composizione delle risorse appostate e utilizzate relativamente al capitolo U04150, specificando l'ammontare delle disponibilita' finanziarie stanziate e impegnate a decorrere dall'entrata in vigore della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, sottese alla legge regionale n. 58/1982, nonche' all'art. 15, comma 3, della l.r. n. 2 del 2015; e ha disposto l'acquisizione dei lavori preparatori delle seguenti leggi regionali: n. 58 del 1982; legge n. 2 del 2015 (art. 15, comma 3), legge n. 13 del 2016 (art. 8), allo scopo di consentire di cogliere, piu' chiaramente, la ratio legis di dette previsioni, in particolare, di quella istitutiva e di quella abrogativa del trattamento di fine servizio su previsione regionale. 2.16. All'esito della richiesta istruttoria, l'Amministrazione regionale ha quindi prodotto, in data 23 luglio, documentazione con prot. n. 4662/2019, con cui ha precisato quali siano state le modalita' di quantificazione delle risorse accantonate sui Capitolo Fondo U89360 a decorrere dall'entrata in vigore della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, sottese alla legge regionale n. 58/1982, nonche' all'art. 15, comma 3, della l.r. n. 15/2015. In particolare, l'Amministrazione regionale riferisce di aver proceduto alla quantificazione delle risorse accantonate sul Capitolo Fondo U89360, a decorrere dal Bilancio Regionale anno 2018-2020. Quanto alle modalita' di calcolo, l'importo del fondo, specifica ancora l'Ente, e' stato determinato sulla base della sommatoria dei differenziali, per ciascun lavoratore avente diritto, calcolati come stabilito nell'art. 1 della l.r. n. 58/1982 sulla base della differenza tra: l'importo dell'indennita' di buonuscita determinato moltiplicando il numero degli anni utili a liquidazione per 1/12 dell'80% della retribuzione annua lorda percepita alla cessazione dal servizio; e l'importo del TFS calcolato moltiplicando il numero degli anni di servizio utili a liquidazione per 1/15 dell'80% della retribuzione media degli ultimi 12 mesi di servizio. Ai fini del calcolo, ancora, per ogni dipendente avente diritto, la Regione ha stimato alla data del 31 dicembre 2018: a) i periodi utili; b) la retribuzione. Nel documento si legge, altresi', che i lavoratori aventi diritto sono i dipendenti in regime di TFS in servizio presso la regione alla data del 1° maggio 2015 (data di entrata In vigore della l.r. n. 2/2015) con almeno un anno di servizio nell'ente alla data del 30 aprile 2015. Ulteriori precisazioni fornite dalla Regione hanno dato evidenza del fatto che, ai fini del calcolo dell'importo dell'accantonamento, fra i collaboratori aventi diritto a tale istituto sono stati ricompresi anche i dipendenti gia' cessati dal servizio, che non hanno ancora presentato la domanda per richiedere l'integrazione regionale. Per questi ultimi il calcolo e' stato effettuato fino alle rispettive date di cessazione del rapporto di lavoro. Emerge dalla nota suindicata che, complessivamente, i dipendenti aventi diritto al 31 dicembre 2018 all'integrazione regionale, come quantificati dalla Regione in sede istruttoria, sono n. 1.683, di cui n. 1.498 dipendenti in servizio e n. 185 cessati dal servizio che possono, successivamente alla liquidazione da parte dell'Inps, fare richiesta dell'integrazione alla Regione. Tale quantificazione, precisa infine l'Ente, effettuata nel settembre 2017, ha portato alla determinazione dell'importo dell'accantonamento stimato pari a euro 9.516.000,00. In occasione dell'udienza svoltasi in data 24 luglio e' emerso tuttavia come, dai dati prodotti dalla stessa amministrazione, il Fondo risulta quantificato in difetto, in quanto la formulazione letterale dell'art. 15, comma 3, della legge regionale, n. 2/2015, che fa salva l'applicazione della legge regionale n. 58/1982 ai dipendenti in servizio al 1° maggio 2015, come interpretato dalla successiva legge regionale n. 13/2016, non esclude che l'integrazione in questione possa essere riconosciuta anche al personale in regime di trattamento di fine rapporto e non solo ai dipendenti in regime di TFS. 2.17. La Procura, in data 24 luglio 2019, ha depositato memorie conclusionali, con le quali ha dato conto, innanzitutto, delle considerazioni svolte dalla Regione in sede di contraddittorio istruttorio. In particolare, la Regione ha precisato che la legge n. 58 del 1982 venne approvata per equiparare il trattamento di fine servizio (TFS) spettante ai dipendenti regionali, all'indennita' di buonuscita erogata agli altri dipendenti pubblici; tuttavia, e' emerso che mentre il TFS viene calcolato moltiplicando 1/15 dell'80% della retribuzione degli ultimi 12 mesi di servizio, l'indennita' di buonuscita viene determinata moltiplicando 1/12 dell'80% della retribuzione annua lorda percepita alla cessazione dal servizio. Il legislatore regionale avrebbe inteso quindi compensare la differenza economica derivante dai due sistemi di calcolo mediante la previsione di una integrazione a carico della Regione. L'Amministrazione, inoltre, ha altresi' evidenziato - riferisce la Procura - che, alla luce del quadro normativo vigente, il quantum di integrazione regionale andra' comunque ad esaurimento in ragione dell'introduzione, per tutti i dipendenti pubblici assunti successivamente al 1° gennaio 2001 del differente istituto del trattamento di fine rapporto (TFR) che comporta un diverso calcolo dell'importo spettante al dipendente al momento della cessazione del rapporto di impiego. La Procura, visto quanto sopra, ha correttamente rilevato che per effetto delle leggi regionali sopravvenute, l'integrazione de qua quale prevista originariamente dalla legge del 1982 resterebbe quindi in vigore solo per i dipendenti in servizio presso la Regione Emilia-Romagna che abbiano maturato almeno un anno di servizio presso la Regione stessa alla data del 30 aprile 2015 e siano assoggettati a regime di TFS, ferma restando comunque l'esclusione da tale regime di tutti gli assunti dopo il 1° gennaio 2001, per il quali trova applicazione il regime generale del TFR. 2.17.1. La Procura Regionale nella memoria per l'udienza del 24 luglio, ha quindi ritenuto che le richiamate previsioni di cui agli articoli 1 della legge regionale n. 58 del 1982 e 15, comma 3, della legge regionale n. 2 del 2015, nell'interpretazione autentica datane dall'art. 8 della legge regionale n. 13 del 2016, nella parte in cui contemplano la perdurante operativita' di una integrazione del trattamento di fine servizio spettante ai dipendenti della Regione che abbiano maturato al 30 aprile 2014 il requisito di un anno di servizio, con onere finanziario interamente a carico della Regione, si pongano in frontale e insanabile contrasto con le previsioni costituzionali di cui agli articoli 117, comma 1 testo originario e 117, comma 2 lettera l) e lettera o) testo vigente - quale introdotto dalla legge costituzionale n. 3 del 2001 e modificato dalla legge costituzionale n. 1 del 2012 - e con quelle di cui agli articoli 81 e 119 Cast. In particolare, ha osservato che la rilevanza della questione di legittimita' discende dalla sua attinenza a norme di legge regionale che prevedono un trattamento di fine servizio di carattere integrativo da erogarsi al personale dipendente della Regione Emilia-Romagna che al momento della cessazione del rapporto di impiego possa far valere il requisito di anzianita' di servizio previsto, con finanziamento integralmente a carico della Regione e con impiego da parte di questa di risorse rivenienti dal proprio bilancio. Peraltro, ha rilevato altresi' che se da un lato e' vero che la Regione con l'art. 15, comma 3, della legge n. 2 del 30 aprile 2015 ha disposto l'abrogazione della legge regionale n. 58 del 1982, istitutiva della predetta integrazione, dall'altro e' anche vero che la stessa norma abrogatrice ha fatto salva espressamente l'applicazione della disciplina abrogata ai dipendenti che abbiano maturato prima della sua entrata in vigore (dunque, alla data del 30 aprile 2015) il requisito di un anno di servizio. L'art. 8 della legge regionale Emilia-Romagna n. 13 del 2016, nel fornire l'interpretazione autentica del richiamato secondo periodo del comma 3 dell'art. 15 legge n. 2 del 2015, ha precisato che la salvaguardia ivi prevista si debba applicare ai dipendenti in servizio presso l'amministrazione regionale alla data di entrata in vigore della norma stessa. In definitiva, rileva acutamente la Procura, l'art. 15 comma 3 della legge n. 2 del 2015, formalmente abrogativa della l.r. n. 58/1982, ha avuto quale unico effetto quello di impedire l'operativita' del meccanismo integrativo pro-futuro; del resto esso comunque non avrebbe potuto trovare applicazione per gli assunti dopo il 2001 ricadenti nel regime normativo dell'ordinario TFR. Per contro la richiamata norma abrogatrice non ha inciso in alcun modo sulla piena operativita' del detto meccanismo rispetto al personale regionale gia' in servizio al momento della sua entrata in vigore; rispetto a tale personale, il meccanismo di integrazione delineato a suo tempo dalla legge regionale n. 58 del 1982 ha continuato (come ancora continua) ad operare e terminera' concretamente di esplicare i propri effetti di carattere (anche) finanziario unicamente con la cessazione dal servizio dell'ultimo dipendente interessato. Ne consegue che, secondo la Procura, nonostante la formale abrogazione prevista dall'art. 15, comma 3, della legge regionale n. 2 del 2015, per effetto della clausola di salvezza dei suoi effetti rispetto al personale in servizio alla data del 30 aprile 2015 in essa contenuta, la legge n. 58 del 1982 spiega ancora pienamente i propri effetti giuridici di' carattere anche finanziario, e continuera' a produrli ancora in futuro. Rispetto alle previsioni di cui alla legge n. 58 del 1982 si verifica pertanto in concreto una situazione di ultra vigenza delle stesse, tale da rendere pienamente legittimo il loro assoggettamento allo scrutinio di legittimita' costituzionale da parte del Giudice delle leggi nella misura in cui (e in ragione del fatto che) la norma, pur formalmente abrogata, e' ancora pienamente esplicativa di effetti giuridici e finanziari (nel senso che l'abrogazione di una norma anteriormente alla rimessione della questione di costituzionalita' non determini di per se' l'inammissibilita' della questione per difetto di rilevanza cfr. da ultimo Consiglio di Stato sez. VI n. 4946 del 2014 con ampi richiami alla conforme giurisprudenza sul punto della Corte costituzionale; cfr. sul punto anche Corte costituzionale n. 146 del 2019). Allo scrutinio di legittimita', viene rilevato nella citata memoria, non si sottrae del resto nemmeno lo ius superveniens costituito dalle previsioni di cui all'art. 15, comma 3, della legge regionale n. 2 del 2015 e della relativa norma di interpretazione autentica di cui all'art. 8 della legge regionale n. 13 del 2016. La Corte costituzionale, ha rammentato la Procura, e' infatti costante nell'affermare la rilevanza di questioni di legittimita' costituzionale riferite a norme di legge sostituite o modificate da norme successive, quante volte le norme sopravvenute si rivelino ininfluenti per la incapacita' di incidere sulle precedenti nel senso di emendarle e renderle idonee a superare i rilievi di incostituzionalita' (cfr., per tutte, Corte costituzionale n. 259/2012; Corte costituzionale n. 264/2013). In conformita' all'orientamento consolidato del Giudice delle leggi ad avviso del quale, in virtu' del principio tempus regit actum, la legittimita' costituzionale dell'atto legislativo deve essere vagliata avuto riguardo alla situazione di fatto e di diritto esistente al momento della sua adozione (cfr. di recente, ex multis, Corte costituzionale n. 78/2013; Corte costituzionale n. 177/2012), la questione di legittimita' costituzionale della legge regionale Emilia-Romagna n. 58 del 1982 deve essere posta con riferimento alle previsioni costituzionali - che si assumono violate - vigenti nel momento in cui il richiamato atto legislativo e' stato emanato, e dunque con riferimento alle originarie previsioni costituzionali in tema di riparto della potesta' legislativa tra Stato e Regioni ordinarie, anteriori alle riforma operata dalla legge costituzionale n. 3 del 2001 con la quale si e' proceduto a profonde modifiche del Titolo V Parte II della Costituzione). 2.17.2. Proseguendo, la Procura ricostruisce puntualmente il panorama normativo ante e post riforma costituzionale del Titolo V, rammentando che anteriormente ad essa, alle Regioni a statuto ordinario veniva riconosciuta una potesta' legislativa di tipo concorrente esercitabile unicamente nelle materie espressamente previste dall'art. 117 nel rispetto dei principi fondamentali posti dalla legge dello Stato, nonche' dell'interesse nazionale e di quello di altre Regioni, secondo quanto previsto dallo stesso art. 117, fermi restando inoltre i limiti di territorio e di materia derivanti dall'osservanza delle (altre) norme costituzionali; la Corte costituzionale estendeva inoltre alla potesta' legislativa concorrente delle Regioni ordinarie gli ulteriori limiti (costituiti dall'osservanza dei principi generali dell'ordinamento giuridico, dagli obblighi internazionali e dalle norme fondamentali di riforma economico-sociale) imposti statutariamente alle Regioni ad autonomia speciale, ritenendo trattarsi di condizioni di portata generale dotate di un fondamento costituzionale implicito. Le Regioni ordinarie, prosegue la Procura, disponevano altresi' di potesta' legislativa attuativa, esercitabile laddove leggi statali avessero demandato alle Regioni il potere di emanare norme per fa loro attuazione (ex u.c. art. 117 Costituzione testo originario). Con riferimento a tale quadro normativo, ed alla elencazione delle materie oggetto di potesta' legislativa concorrente previste dal testo originario dell'art. 117 Costituzione, la questione relativa alla competenza legislativa delle Regioni ordinarie sul rapporto di impiego del personale alle proprie dipendenze e' stata risolta configurandola in termini di legislazione concorrente riconducibile alla materia dell'«ordinamento degli uffici dipendenti dalla Regione» (prima materia elencata dall'art. 117). Conseguentemente, il rapporto di impiego alle dipendenze della Regione avrebbe potuto formare oggetto di disciplina da parte della legislazione regionale unicamente nei limiti dei principi fondamentali posti dalla legislazione statale, laddove la previsione di un trattamento integrativo del TFS per i dipendenti regionali da parte della legislazione regionale non risultava affatto contemplata (per la legittimita' costituzionale di regimi differenziati relativi al trattamento di fine servizio cfr. del resto Corte costituzionale n. 220 del 1988). Venendo alla riforma costituzionale del 2001, la Procura ha rammentato come essa ha modificato l'assetto sopra ricordato, rovesciando il criterio di riparto della funzione legislativa, assegnando allo Stato la potesta' legislativa esclusiva nelle materie tassativamente indicate, individuando poi le materie rimesse alla legislazione regionale concorrente nel rispetto dei principi fondamentali posti con legge statale e attribuendo alle Regioni la potesta' legislativa (cd. residuale) in ogni altra materia, senza peraltro recare indicazioni specifiche in ordine alla competenza legislativa in tema di rapporto di impiego alle dipendenze delle Regioni. Detta riforma ha peraltro espressamente indicato come materia di legislazione statale esclusiva quella dell'ordinamento civile (art. 117, comma 2, lettera l, Costituzione), nella quale ricade anche la regolamentazione del rapporti di lavoro con le pubbliche amministrazioni secondo i modelli tipici del cd. pubblico impiego privatizzato, ferma restando la competenza legislativa regionale per i profili organizzativi ed ordinamentali dell'ente. Secondo la Procura, le previsioni di cui all'art. 1 della legge regionale Emilia-Romagna n. 58 del 1982, nella parte in cui istituiscono un trattamento previdenziale a carico della finanza pubblica (regionale) integrativo di quello previsto dalla legislazione statale a favore dei dipendenti regionali da corrispondersi all'atto della cessazione dal servizio, contrastano irrimediabilmente con le previsioni dell'art. 117 della Costituzione e con il riparto di potesta' legislativa ivi operato tra Stato e Regioni, avuto riguardo sia alla formulazione originaria sia alla formulazione novellata dalla legge costituzionale n. 3 del 2001 (sulla riserva di legislazione statale esclusiva in materia di previdenza sociale cfr. anche Corte costituzionale sentt. n. 38/2018; n. 62/2019). La previsione dell'art. 15, comma 3, della legge regionale Emilia-Romagna n. 2 del 2015, nell'interpretazione autentica fissata dall'art. 8 della legge regionale n. 13 del 2016, nella parte in cui contempla e consente la perdurante operativita' di un trattamento integrativo del trattamento di fine servizio per i dipendenti della Regione che abbiano maturato prima al 30 aprile 2015 il requisito di un anno di servizio con onere finanziario interamente a carico della Regione, risulta invece in aperto e frontale contrasto con quanto disposto all'art. 117 della Costituzione testo vigente, lettera l) e lettera o) del secondo comma. Nella fattispecie in esame, peraltro, prosegue l'Organo requirente, le richiamate violazioni delle previsioni costituzionali in tema di riparto delle competenze legislative tra lo Stato e le Regioni si riflettono direttamente sul bilancio regionale, determinando un incremento non consentito della spesa regionale per il proprio personale, integrando per tale via allo stesso tempo anche la lesione di valori fondamentali ulteriori quali sono quelli cui presiedono le previsioni costituzionali degli articoli 81 e 97, primo comma. In altri termini, le previsioni delle leggi regionali n. 58 del 1982 e n. 2 del 2015, unitamente alla interpretazione autentica offerta dall'art. 8 della legge n. 13 del 2016, nella misura in cui prevedono e consentono ancora l'erogazione ai dipendenti regionali che ne abbiano diritto di una integrazione del trattamento di fine servizio con onere finanziario interamente a carico del bilancio e delle risorse della Regione Emilia-Romagna integrano la violazione non solo dei precetti di cui all'art. 117 testo originario e di cui all'art. 117, secondo comma, lettera l) e lettera o) testo vigente (introdotto dalla legge costituzionale n. 3 del 2011 di riforma del Titolo V della Costituzione), inerenti rispettivamente la competenza legislativa statale esclusiva in materia di «ordinamento civile» e di «previdenza sociale», ma anche la violazione dei precetti di cui all'art. 81 e di cui all'art. 97, primo comma della Costituzione poiche' incidono in modo diretto e immediato sugli equilibri di bilancio e realizzano la violazione delle regole di sana gestione finanziaria; valori alla cui tutela e' preordinata la Corte dei conti, cui spetta accertare tutte le «irregolarita'» poste in essere dagli enti territoriali suscettibili di pregiudicarli, secondo quanto stabilito dall'art. 1, comma 3, del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174 convertito, con modificazioni, nella legge 7 dicembre 2012, n. 213. Come giustamente ritenuto dalla Corte costituzionale a partire dalla richiamata sentenza n. 196/2018, nei casi in cui si realizza la violazione dei parametri costituzionali attributivi della competenza legislativa fissati nell'art. 117 Costituzione da parte della Regione questa «manca per definizione della prerogativa di allocare risorse»; a fronte di una violazione di tal genere «non vi e' intervento regionale produttivo di spesa che non si traduca immediatamente nell'alterazione del criteri dettati dall'ordinamento ai fini della sana gestione della finanza pubblica allargata» (sentenza n. 196 del 2018, punto 2.1.2. del Considerato in diritto). 2.17.3. A conclusione della propria memoria, pertanto, la Procura Regionale presso la Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per l'Emilia-Romagna ha chiesto alla scrivente Sezione regionale di voler sollevare - nel giudizio di parificazione del rendiconto generale della Regione Emilia-Romagna per l'esercizio 2018 - questione di legittimita' costituzionale: dell'art. 1 della legge regionale Emilia-Romagna n. 58 del 14 dicembre 1982; dell'art. 15, comma 3, della legge regionale Emilia-Romagna n. 2 del 30 aprile 2015 e dell'art. 8 della legge n. 13 del 29 luglio 2016, nella parte in cui prevedono e consentono la corresponsione ai dipendenti della Regione Emilia-Romagna che abbiano maturato i requisiti previsti di una integrazione dell'indennita' di fine servizio con relativi oneri finanziari interamente a carico della Regione Emilia-Romagna, per violazione dei seguenti articoli della Costituzione: art. 117, comma 1 testo originario; art. 117, secondo comma, lettera l) e lettera o) testo vigente (introdotto dalla legge costituzionale n. 3 del 2001 e modificato dalla legge costituzionale n. 1 del 2012); art. 81; art. 97, primo comma. Considerato in diritto 1. Il giudizio di parificazione del rendiconto regionale e' disciplinato dalle disposizioni di' cui all'art. 1, comma 5, del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 dicembre 2012, n. 213, secondo cui «Il rendiconto generale della regione e' parificato dalla sezione regionale di controllo della Corte dei conti ai sensi degli articoli 39, 40 e 41 del t. u. di cui al regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214. Alla decisione di parifica e' allegata una relazione nella quale la Corte dei conti formula le sue osservazioni in merito alla legittimita' e alla regolarita' della gestione e propone le misure di correzione e gli interventi di riforma che ritiene necessari al fine, in particolare, di assicurare l'equilibrio del bilancio e di migliorare l'efficacia e l'efficienza della spesa. La decisione di parifica e la relazione sono trasmesse al presidente della giunta regionale e al consiglio regionale». 1.1. Gli articoli del testo unico delle leggi sulla Corte dei conti richiamati si riferiscono alla parifica del rendiconto generale dello Stato e disciplinano la procedura del giudizio di parificazione (art. 40), il profilo contenutistico (art. 39) e la contestualizzazione dell'attivita' di parifica con una relazione sul rendiconto (art. 41). 1.2. Nel corso del giudizio di parifica le Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti svolgono il ruolo di «garante imparziale dell'equilibrio economico-finanziario del settore pubblico» che il legislatore ha attribuito alla Corte dei conti e che e' stato confermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 60/2013, nella quale, in linea con la pregressa giurisprudenza, e' stato ribadito che «alla Corte dei conti e' attribuito il controllo sull'equilibrio economico-finanziario del complesso delle amministrazioni pubbliche a tutela dell'unita' economica della Repubblica, in riferimento a parametri costituzionali (articoli 81, 97, 117, 119 e 120 Costituzione) e ai vincoli derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea (articoli 11 e 117, primo comma, Costituzione)». Infatti, come puntualizza l'art. 1, comma 1, del citato decreto-legge n. 174/2012, con riferimento al giudizio di parifica, «al fine di rafforzare il coordinamento della finanza pubblica, in particolare tra i livelli di governo statale e regionale, e di garantire il rispetto dei vincoli finanziari derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea, le disposizioni del presente articolo sono volte ad adeguare, ai sensi degli articoli 28, 81, 97, 100 e 119 della Costituzione, il controllo della Corte dei conti sulla gestione finanziaria delle regioni di cui all'art. 3, comma 5, della legge 14 gennaio 1994, n. 20, e all'art. 7, comma 7, della legge 5 giugno 2003, n. 131, e successive modificazioni». 1.3. Occorre, altresi', ricordare che, ai sensi dell'art. 39 del testo unico delle leggi sulla Corte dei conti (regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214), al quale rinvia l'art. 1, comma 5, del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174, l'oggetto del giudizio di parifica e' il seguente: «La Corte verifica il rendiconto generale dello Stato e ne confronta i risultati tanto per le entrate, quanto per le spese, ponendoli a riscontro con le leggi del bilancio. A tale effetto verifica se le entrate riscosse e versate ed i resti da riscuotere e da versare risultanti dal rendiconto, siano conformi ai dati esposti nei conti periodici e nei riassunti generali trasmessi alla Corte dai singoli ministeri; se le spese ordinate e pagate durante l'esercizio concordino con le scritture tenute o controllate dalla Corte ed accerta i residui passivi in base alle dimostrazioni allegate ai decreti ministeriali di impegno ed alle proprie scritture. La Corte con eguali accertamenti verifica i rendiconti, allegati al rendiconto generale, delle aziende, gestioni ed amministrazioni statali con ordinamento autonomo soggette al suo riscontro». 1.4. La Corte costituzionale, con la sentenza n. 213/2008 ha affermato la legittimazione della Corte dei conti in sede di giudizio di parificazione a sollevare questione di legittimita' costituzionale «avverso tutte quelle disposizioni di legge che determinino effetti modificativi dell'articolazione del bilancio per il fatto stesso di incidere, in senso globale, sulle unita' elementari, vale a dire sui capitoli [...]. Ancora, «In questa prospettiva si e' stabilito che le sezioni regionali di controllo accertano gli squilibri economico finanziari, la mancata copertura delle spese, la violazione di norme finalizzate a garantire la regolarita' della gestione finanziaria (art. 1, comma 7, del decreto-legge n. 174 del 2012), in sostanza tutte le «irregolarita' suscettibili di pregiudicare, anche in prospettiva, gli equilibri economico-finanziari degli enti» (art. 1, comma 3, del decreto-legge n. 174 del 2012). Alla luce di tali sviluppi, questa Corte ha riconosciuto l'ammissibilita' di questioni di legittimita' costituzionale sollevate dalle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti in sede di giudizio di parificazione dei rendiconti regionali» (cosi', Corte costituzionale, sentenza n. 196 del 9 novembre 2018). 1.5. Ricorrono, infatti, nei casi di specie, le stesse situazioni che hanno indotto a scrutinare favorevolmente l'ammissibilita' della rimessione incidentale da parte della Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per la Liguria, poiche' il giudice contabile, ove avesse applicato tali norme, si sarebbe trovato nella condizione di validare un risultato di amministrazione non corretto, in quanto relativo a una spesa, conseguente all'adozione di un istituto retributivo illegittimo (in tal senso, sentenza Corte costituzionale n. 196 del 2018 sopra citata). Tenuto conto che compito della Corte dei conti, in sede di parificazione del rendiconto generale delle autonomie territoriali, e' accertare il risultato di amministrazione, nonche' eventuali illegittimita' suscettibili di pregiudicare, anche in prospettiva, gli equilibri economico-finanziari degli enti (art. 1, comma 3, del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174), si tratta, come sottolineato dalla Consulta con la sentenza n. 138/2019, di valutare la rilevanza della questione sollevata che concerne non solo l'art. 81 della Costituzione ma anche l'art. 117, secondo comma, sui rispetto delle competenze legislative Stato-Regione, e nel caso specifico lettera l) e o), dal momento che «le norme di cui sospetta l'illegittimita' costituzionale incidono sull'articolazione della spesa e sul quantum della stessa, dal momento che ne determinano un effetto espansivo mediante un aumento delle risorse destinate al trattamento accessorio con cui (...) avrebbe retribuito soggetti che non ne avrebbero titolo»; in tal modo l'aumento della spesa del personale incide sul risultato di amministrazione, e tale violazione e' rilevante anche quando l'equilibrio non e' messo in discussione, come nel caso in esame, nel quale non si era in presenza di un disavanzo. 2. Nel corso dell'esame del conto del bilancio del rendiconto generale della Regione Emilia-Romagna per l'esercizio 2018, come analiticamente esposto in narrativa, la Sezione si e' soffermata ad esaminare la legislazione regionale di' autorizzazione della spesa sottesa ai predetti capitoli n. U89360 e n. U04150, aventi ad oggetto rispettivamente «Fondo accantonamento indennita' regionale fine servizio» e «Oneri dipendenti dalla integrazione regionale della indennita' premio di servizio Inadel e della indennita' di buonuscita Enpas dall'anticipazione della suddetta integrazione, dalla corresponsione della indennita' premio di servizio al personale per il quale non opera la ricongiunzione dei servizi (l.r. 14 dicembre 1982, n. 58 e art. 15, comma 3, l.r. 30 aprile 2015, n. 2; l.r. 5 maggio 1980, n. 29 e art. 63 l.r. 26 novembre 2001, n. 43»: l'art. 1 della legge regionale 14 dicembre 1982, n. 58; l'art. 15, comma 3, della legge regionale 30 aprile 2015, n. 2; l'art. 8 della legge regionale 29 luglio 2016, n. 13. L'art. 1 della legge n. 58/1982, nella versione vigente al momento dell'abrogazione, e' il seguente: «Per ogni anno di servizio, la Regione - a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge e fino all'entrata in vigore di una diversa disciplina generale dell'istituto previdenziale di cui trattasi per tutto il settore del pubblico impiego - assicura ai propri dipendenti e loro aventi causa un trattamento previdenziale (indennita' di fine servizio) pari a 1/12 dell'80% dell'ultima retribuzione mensile lorda, rapportata ad anno, quale allo stesso fine l'ordinamento dell'INADEL - Istituto Nazionale Assistenza Dipendenti Enti Locali - prende a base per il calcolo dell'indennita' premio di servizio [comma primo]. La Regione pone a suo carico la eventuale differenza fra la somma lorda spettante secondo quanto previsto dal comma precedente (assunta a minuendo) e quella lorda (assunta a sottraendo), corrisposta a titolo di indennita' di premio servizio, di indennita' di buonuscita, di indennita' di' anzianita', o ad altro analogo titolo, dalla stessa Regione e dall'ente presso il quale e' instaurato il rapporto previdenziale [comma secondo]. La disposizione di cui al precedente primo comma opera dopo almeno un anno di servizio prestato a favore della Regione, indipendentemente se e presso quale ente maturi il diritto a pensione e indipendentemente altresi' da qualsiasi causa di cessazione [comma terzo]». L'art. 15 della legge regionale 30 aprile 2015, n. 2, al comma 3 stabilisce che «La legge regionale 14 dicembre 1982, n. 58 (Omogeneizzazione del trattamento di previdenza del personale regionale), e' abrogata. Resta salva la sua applicazione ai dipendenti che abbiano maturato, prima dell'entrata In vigore della presente legge, il requisito di un anno di servizio di cui all'art. 1, comma terzo della legge regionale n. 58 del 1982». Infine, l'art. 8 della legge regionale 29 luglio 2016, n. 13, concernente «Interpretazione autentica dell'art. 15 della legge regionale n. 2 del 2015», stabilisce che «Il secondo periodo del comma 3 dell'art. 15 della legge regionale 30 aprile 2015, n. 2 (Disposizioni collegate alla legge finanziaria per il 2015) si interpreta nel senso che la salvaguardia si applica ai dipendenti in servizio presso l'amministrazione regionale alla data di entrata in vigore della norma stessa». 3. Nel caso di specie, la Sezione ritiene che la Regione Emilia-Romagna, legiferando con l'art. 15, comma 3, della legge regionale n. 2/2015, alla luce del sistema costituzionale di riparto delle competenze legislative tra lo Stato e la Regione, in materie riservate alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, abbia determinato un aumento della spesa del personale regionale, ponendosi al di fuori del definito sistema previsto dalla legislazione nazionale, astretto a finalita' di salvaguardia e contenimento della spesa pubblica, in vista del rispetto degli obblighi di tenuta dei vincoli di finanza pubblica interni e comunitari: la qual cosa emerge dalla circostanza che la intervenuta costituzione del fondo - per la prima volta, a partire dal 2018 - ha contestualmente operato - come emerge dalla documentazione istruttoria - la riduzione di altre poste del risultato di amministrazione. 4. Va dato, altresi', atto che la presente questione di costituzionalita' segue altri casi simili gia' sottoposti allo scrutinio della Consulta, la quale ha, peraltro, dichiarato l'illegittimita' costituzionale delle norme di volta in volta considerate dalle competenti Sezioni regionali di controllo. La scrivente Sezione si richiama, pertanto, alle pertinenti considerazioni svolte, in particolare, dalla Sezione regionale di controllo per la Liguria con l'ordinanza n. 34/2017 alla quale ha fatto seguito la sentenza della Consulta n. 196/2018, dalle Sezioni riunite per la regione Trentino-Alto Adige/Südtirol, con l'ordinanza n. 4/SS.RR./2018, che ha portato alla pronuncia di Corte costituzionale n. 138 del 2019, e dalla Sezione regionale di controllo per la Campania, con l'ordinanza n. 25/2018 seguita dalla pronuncia di Corte costituzionale n. 146/2019. 5. La Sezione in particolare deve valutare in concreto le condizioni che impongono di sollevare la questione di legittimita' costituzionale. In tale logica, appare «rilevante ai fini del decidere» e «non manifestamente infondata» la questione di costituzionalita' che il Collegio pone, in quanto la violazione della riserva di competenza di legge statale da parte della Regione Emilia-Romagna in una materia quale quella dell'«ordinamento civile» e della «previdenza sociale» e' foriera di una dinamica espansiva della spesa di personale, oltre le limitazioni desumibili dalla legislazione dello Stato. Infatti, nel caso di specie, le norme di cui si sospetta l'illegittimita' costituzionale, per non consentita invasione della legislazione riservata alla legislazione statale (art. 117, secondo comma, lettera l) e o), Costituzione), incidono sull'articolazione della spesa e sui quantum della stessa, poiche' istituiscono aspettative di trattamento di fine servizio ulteriore rispetto a quanto prevede la legge statale, con incidenza pertanto sui parametri finanziari di cui agli articoli 81 e 97 Costituzione. Deve inoltre rilevarsi, in merito al parametro finanziario di cui all'art. 81 Costituzione, che la quantificazione del Fondo, calcolato solo sulla base del personale in servizio al 1° maggio 2015 in regime di Trattamento di fine servizio, appare in difetto e con copertura solo parziale sulla base dell'interpretazione letterale dell'art. 15, comma 3, della legge regionale n. 2/2015. Ne' si puo' dare ingresso a una diversa interpretazione delle norme qui evocate, in quanto la indiscutibile formulazione letterale della norma dell'art. 15, comma 3, della legge regionale 30 aprile 2015, n. 2 non esclude ed anzi sembra consentire senz`altro un'inammissibile interpretazione estensiva degli istituti previdenziali in esame a favore anche dei dipendenti assunti sino al 1° maggio 2015 e soggetti al regime di TFR, dilatando la componente vincolistica di spesa cui occorre invece dare effettivo contenimento. 5.1 Piu' specificamente, quanto alla rilevanza, va ricordato che alla luce del disposto dall'art. 39 del testo unico delle leggi sulla Corte dei conti (regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214), al quale l'art. 1, comma 5, dei decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174 rinvia, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 213/2008, ha affermato fa legittimazione della Corte dei conti in sede di giudizio di parificazione a sollevare questione di legittimita' costituzionale «avverso tutte quelle disposizioni di legge che determinino effetti modificativi dell'articolazione del bilancio per il fatto stesso di incidere, in senso globale, sulle unita' elementari, vale a dire sui capitoli, con riflessi sugli equilibri di gestione, disegnati con il sistema dei risultati differenziali». Nel caso di specie, le norme regionali di cui si sospetta l'illegittimita' costituzionale incidono sull'articolazione della spesa e sul quantum della stessa, poiche' determinano un effetto espansivo della spesa, anche in prospettiva futura, mediante un aumento delle risorse destinate al trattamento di fine servizio, con cui la Regione retribuisce i soggetti ivi contemplati. Nel momento in cui la Sezione oggi rimettente, nell'ambito del giudizio di parifica, deve prendere in esame i capitoli destinati alla corresponsione e materiale pagamento di tale trattamento, si trova nella situazione di non poter dichiarare la parifica di detti capitoli «indipendentemente» dalla risoluzione del dubbio di conformita' a Costituzione delle norme di legge di cui e' chiamata a fare applicazione. Difatti, nella specie, laddove la normativa regionale sottesa ai capitoli di spesa in questione fosse affetta da un vizio competenziale, la relativa spesa consuntivata sarebbe effettuata sine titulo, sicche', qualora fosse acclarata l'illegittimita' costituzionale delle citate norme di legge regionali che rilevano ai tini del giudizio di parificazione, le spese sostenute per la corresponsione di detti importi sarebbero prive di «copertura normativa», con «ridondanza» e conseguente violazione del precetto costituzionale di cui all'art. 81, terzo comma, Costituzione. 5.2. Nella fattispecie che occupa la Sezione, la parifica dei capitoli di bilancio n. U89360 e U04150 e' dunque condizionata dal dubbio di' legittimita' costituzionale della normativa che ne costituisce il presupposto sostanziale, e cioe' dall'art. 1 della legge n. 58 del 1982, dall'art. 15, comma 3, della legge regionale n. 2/2015 e dall'art. 8 della legge regionale n. 13/2016 che, mediante la clausola di salvezza dell'applicazione del trattamento de quo ai dipendenti in esercizio ad una certa data, recano norme di autorizzazione dei relativi impegni e pagamenti, con conseguente evidenza della rilevanza nel presente giudizio della questione di costituzionalita' che si intende sollevare. Infatti, con riguardo all'art. 15, comma 3, della legge regionale n. 2/2015, la disposizione fa salva, per quanto qui di interesse, l'applicazione del trattamento di fine servizio (mentre abroga per il resto la legge regionale n. 58/1982), ai dipendenti che abbiano maturato, prima dell'entrata in vigore della stessa legge n. 2/2015, il requisito di un anno di servizio, mentre l'art. 8 della legge regionale 29 luglio 2016, n. 13, recante «Interpretazione autentica dell'art. 15 della legge regionale n. 2 del 2015», ha precisato che la salvaguardia si applica ai dipendenti in servizio presso l'amministrazione regionale alla data di entrata in vigore della norma stessa (ovvero, 1° maggio 2015). 5.3. Per tutto quanto sopra esposto, nella vigenza delle piu' volte citate leggi regionali, questa Sezione si troverebbe a dover parificare il rendiconto della Regione Emilia-Romagna e, in particolare, le poste di bilancio afferenti il menzionato trattamento di fine servizio, la cui disciplina anche nell'esercizio oggetto di scrutinio, trova la sua fonte non gia' in clausole contrattuali, ma direttamente nella legge. Pertanto, la verifica della spesa del personale nell'ambito del giudizio di parifica, con riferimento alle fattispecie evidenziate, consente a questa Sezione di ergersi a garante imparziale dell'equilibrio economico-finanziario attuale e prospettico del settore pubblico che il legislatore ha attribuito alla Corte dei conti. In tal senso, ha trovato giustificazione una parifica parziale del rendiconto regionale per il 2018, con esclusione, quindi, delle poste di spesa esaminate. Nella fattispecie de qua, la parifica dei capitoli di spesa n. U89360 e U04150 comporta l'applicazione dell'art. 1 della legge regionale n. 58/1982, dell'art. 15, comma 3, della legge regionale n. 2/2015 e dell'art. 8 della legge regionale n. 13/2016. Ne deriva, in ordine ai requisito della rilevanza, che questa Sezione, se non dubitasse della legittimita' costituzionale delle citate disposizioni regionali, dovrebbe necessariamente parificare i suddetti capitoli di bilancio. 5.4. Per questa ragione, la Sezione ha provveduto, come esposto in premessa, ad una parifica parziale del rendiconto regionale con esclusione, quindi, delle poste di spesa di cui ai capitoli n. U89360 e n. U04150, per un importo pari a, rispettivamente, euro 9.516.000,00 ed euro 1.050.000,00 di competenza e di euro 1.080.117,60 di cassa. 5.5. Peraltro, la disciplina regionale denunciata, se pur risalente nel tempo ed abrogata nel 2015, continua ad esplicare efficacia anche nel corso dell'esercizio finanziario 2018, incidendo sui risultati finanziari finali e, conseguentemente, sul rendiconto regionale (oggetto di parifica). 5.6. La rilevanza della questione permane anche a seguito dell'abrogazione del trattamento di fine servizio regionale ad opera dell'art. 15, comma 3, della legge regionale 30 aprile 2015, n. 2. Deve osservarsi come l'abrogazione della legge per definirsi tale debba avere come conseguenza la cessazione dell'efficacia della stessa, ossia non produrre alcun effetto diretto o indiretto nell'ambito dell'ordinamento giuridico. In realta' nel caso specifico l'art. 15, comma 3, della legge regionale n. 2/2015 ha disposto, rispetto all'enunciata abrogazione, una parziale abrogazione della legge n. 58/1982, in quanto quest'ultima continua a produrre effetti per il personale in servizio al 1° maggio 2015. Nel caso in cui si volesse considerare l'effetto abrogativo dell'art. 15, comma 3, della legge regionale 2/2015, quest'ultima dovra' considerarsi, comunque, come novativa della disposizione legislativa regionale n. 58/1982, in quanto definisce un diverso quadro giuridico relativamente alla corresponsione dell'integrazione in questione limitandola al personale in servizio presso la Regione al 1° maggio 2015. Difatti, secondo l'insegnamento della Corte costituzionale deve ritenersi «la persistenza della rilevanza, anche nel caso in cui la norma sottoposta a scrutinio sia stata dichiarata incostituzionale o sostituita da una successiva, in quanto, allorche' un determinato atto amministrativo sia stato adottato sulla base di una norma poi abrogata o dichiarata costituzionalmente illegittima, la legittimita' dell'atto deve essere esaminata, in virtu' del principio tempus regit actum, con riguardo alla situazione di fatto e di diritto esistente al momento della sua adozione» (sentenza n. 177 del 2012; nonche', tra le altre, sentenze nn. 321 del 2011, 209 del 2010, 391 del 2008 e 509 del 2000). Del resto, i due istituti giuridici dell'abrogazione e della illegittimita' costituzionale delle leggi non sono eguali fra loro, ma si muovono su piani differenti ed hanno, soprattutto, effetti diversi. Mentre la dichiarazione di incostituzionalita' di una legge o di un atto avente forza di legge rende la norma inefficace ex tunc e quindi, estende la sua invalidita' a tutti i rapporti giuridici ancora pendenti al momento della decisione della Corte, restandone cosi' esclusi soltanto i «rapporti esauriti», l'abrogazione opera solo per l'avvenire, atteso che anche la legge abrogante e' sottoposta alla regola di cui all'art. 11 delle Disposizioni sulla legge in generale, secondo cui «la legge non dispone che per l'avvenire: essa non ha effetto retroattivo». Considerazioni diverse potrebbero essere fatte per l'abrogazione con effetti retroattivi, ipotesi che tuttavia non ricorre nella fattispecie in esame dove, di contro, e' assolutamente pacifico che la legislazione regionale denunciata, fino all'abrogazione della disciplina in questione da parte dell'art. 15, comma 3, della legge regionale 30 aprile 2015, n. 2, abbia avuto concreta applicazione e continuera' ad avere effetti sul bilancio della Regione Emilia-Romagna, atteso il permanere della vigenza della legge regionale n. 58/1982 per i dipendenti in servizio al 1° maggio 2015 e sino alla cessazione del rapporto di lavoro (ovvero della norma istitutiva del trattamento di fine servizio de quo) e per il resto espressamente abrogata ad opera dell'art. 15, comma 3, della legge regionale n. 2/2015, nella interpretazione autentica datane dall'art. 8 della legge regionale n. 13/2016). Va osservato che, di recente, la stessa Consulta con le pronunce sopra menzionate seguite alle ordinanze di rinvio delle Sezioni di controllo per la Liguria e per la Campania ha, in casi analoghi, disposto che «Tale legge (ovvero quella che ha abrogato le norme regionali tacciate di incostituzionalita', n.d.r.), tuttavia, e' entrata in vigore il 12 agosto 2017, cosicche' sia l'abrogazione dell'art. 10 della l.r. Liguria n. 10 del 2008, sia la modifica dell'art. 2 della l.r. Liguria n. 42 del 2008 non incidono sulle questioni di legittimita' costituzionale delle citate norme, sollevate nell'ambito del giudizio di parificazione del rendiconto generale della Regione Liguria inerente all'esercizio finanziario 2016, in relazione al quale esse continuano a trovare applicazione» (sent. n. 196/2018, punto 2.2 in diritto); inoltre «Preliminarmente, occorre tener conto della circostanza che, dopo il deposito dell'ordinanza di rimessione e la discussione in udienza pubblica delle questioni con essa sollevate, le norme oggetto di censura sono state abrogate [...]. Tuttavia, secondo gli ordinari principi di successione delle leggi nel tempo, tale abrogazione non spiega effetti sul giudizio a quo. Pertanto, sono insussistenti i presupposti per la restituzione degli atti al giudice a quo al fine di un nuovo esame della rilevanza e della non manifesta infondatezza delle questioni sollevate» (sent. n. 146/2019, punto 2 del Considerato in diritto). 6. Venendo al profilo della non manifesta infondatezza, l'analisi della normativa regionale, sul cui presupposto risulta essere stato costituito il predetto Fondo per l'integrazione regionale all'indennita' di fine servizio, capitolo-Fondo U89360 (di importo pari ad euro 9.516.000,00) e il capitolo U04150 (di importo pari ad euro 1.050.000,00 di competenza e di euro 1.080.117,60 di cassa), fa ritenere, sussistente anche il requisito nella «non manifesta infondatezza della questione», in quanto pone dubbi di legittimita' costituzionale in relazione agli articoli 3, 36, 81, 97, 101, secondo comma, 103, secondo comma, e 108 e 117, secondo comma, lettera l) «ordinamento civile» e o) «previdenza sociale», e 119, primo comma, della Costituzione. Infatti, sulla base della giurisprudenza costituzionale (Corte costituzionale nn. 146 e 138/2019 e 196/2018, richiamate anche nella memoria depositata dalla Procura regionale presso la Sezione giurisdizionale per la Regione Emilia-Romagna in data 24 luglio 2019), in sede di giudizio di parificazione, la Sezione del controllo della Corte dei conti e' chiamata a vagliare la «copertura normativa» della legislazione di spesa-presupposto di poste di bilancio. 6.1 Come detto sopra, molteplici sono le norme costituzionali con le quali ad avviso di questa Sezione, le citate leggi regionali si porrebbero in contrasto. La Sezione dubita in particolare che la predetta legislazione regionale, che disciplina il «trattamento di fine servizio» a favore dei dipendenti regionali, prevedendo un regime differenziale di maggior favore rispetto agli altri dipendenti pubblici, esorbiti, invadendola, nell'ambito competenziale esclusivo riservato alla legislazione statale riconducibile alla «previdenza sociale», ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera o), Costituzione e all'«ordinamento civile», ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera l), Costituzione, con conseguente «ridondanza» sui parametri finanziari di cui agli articoli 81 e 97 Costituzione, poiche' la spesa regionale sarebbe, in parte qua, effettuata ed effettuabile sine titulo. 6.2. La questione oggetto di analisi da parte di questa Sezione rappresenta il segmento di una complessa sequenza normativa in tema di trattamento previdenziale dei pubblici dipendenti, di cui occorre dare qui conto, al fine di esaminarne la portata nel presente giudizio. Occorre premettere che nel settore pubblico, le indennita' in esame presentano una natura retributiva (sentenza n. 243 del 1997, punto 2.3. del Considerato in diritto), avvalorata dalla correlazione della misura delle prestazioni con la durata del servizio che le attira nella sfera dell'art. 36 Costituzione (Corte costituzionale, Sentenza n. 159/2019) e con la retribuzione di carattere continuativo percepita in costanza di rapporto (sentenza n. 106 del 1996, punto 2.1. del Considerato in diritto), ma sono corrisposte al momento della cessazione dal servizio allo scopo precipuo di «agevolare il superamento delle difficolta' economiche che possono insorgere nel momento in cui viene meno la retribuzione» (sentenza n. 106 del 1996, punto 2.1. del Considerato in diritto). In questo si coglie la funzione previdenziale che coesiste con la natura retributiva e rappresenta l'autentica ragion d'essere dell'erogazione delle indennita' dopo la cessazione del rapporto di lavoro. 6.2.1. Le indennita' di fine rapporto, pur nella differente configurazione che hanno assunto nel volgere degli anni, si atteggiano pertanto come «una categoria unitaria connotata da identita' di natura e funzione e dalla generale applicazione a qualunque tipo di rapporto di lavoro subordinato e a qualunque ipotesi di cessazione del medesimo» (Corte costituzionale, sentenza n. 243/1993, punto 5. del Considerato in diritto). Inizialmente tale trattamento era costituito esclusivamente dall'indennita' di buonuscita disciplinata per i dipendenti del comparto statale dal decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1032 (Approvazione del testo unico delle norme sulle prestazioni previdenziali a favore del dipendenti civili e militari dello Stato) e dalla indennita' premio di servizio, riconosciuta ai dipendenti del comparto locale dalla legge 8 marzo 1968, n. 152 (Nuove norme in materia previdenziale per il personale degli Enti locali) (Corte costituzionale, sentenza n. 244/2014). L'art. 4, legge n. 152/68 in particolare dispone che l'indennita' premio di servizio e' «pari a un quindicesimo della retribuzione contributiva degli ultimi dodici mesi, considerata in ragione dell'80% al sensi del successivo art. 11, per ogni anno di iscrizione all'Istituto»; il successivo art. 11, intitolato «misura del contributo previdenziale», dispone, al primo comma, che «il contributo dovuto per ogni iscritto ai fini del trattamento di previdenza e' stabilito a decorrere dal primo marzo 1966, nella misura del 5 per cento della retribuzione contributiva annua considerata in ragione dell'80 per cento [...]»; la determinazione della retribuzione contributiva e' fissata dal quarto comma dello stesso art. 11, ove si stabilisce che la retribuzione contributiva e' costituita dallo stipendio o salario comprensivo degli aumenti periodici, della tredicesima mensilita' e del valore degli assegni in natura, spettanti per legge o regolamento e formanti parte integrante ed essenziale dello stipendio stesso. Successivamente, l'art. 2 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 20 dicembre 1999, recante «Trattamento di fine rapporto e istituzione dei fondi pensione dei pubblici dipendenti» (nel testo modificato dall'art. 1 del successivo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 2 marzo 2001, identicamente denominato) - dando concreta attuazione alle previsioni gia' contenute nella legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare), rimaste sino a quel momento inattuate - ha disposto il passaggio al regime del trattamento di fine rapporto (TFR), di cui all'art. 2120 del codice civile, nei confronti del personale delle pubbliche amministrazioni assunto (a tempo indeterminato) successivamente al 31 dicembre 2000; dando cosi' luogo ad un duplice regime: TFS, per i dipendenti assunti ante 2001 e TFR per i dipendenti assunti a partire dal 1° gennaio di detto anno. L'evoluzione normativa, «stimolata dalla giurisprudenza costituzionale» (sentenza n. 243 del 1993, punto 4. del Considerato in diritto), ha ricondotto pertanto le indennita' di fine rapporto erogate nel settore pubblico al paradigma comune della retribuzione differita con concorrente funzione previdenziale, nell'ambito di un percorso di tendenziale assimilazione alle regole dettate nel settore privato dall'art. 2120 del Codice civile (decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 20 dicembre 1999, recante «Trattamento di fine rapporto e istituzione dei fondi pensione dei pubblici dipendenti»). Tale processo di armonizzazione, contraddistinto anche da un ruolo rilevante dell'autonomia collettiva (sentenza n. 213 del 2018), rispecchia la finalita' unitaria dei trattamenti di fine rapporto, che si prefiggono di accompagnare il lavoratore nella delicata fase dell'uscita dalla vita lavorativa attiva. La giurisprudenza della Corte costituzionale ha precisato, peraltro, che il trattamento di fine servizio e' diverso e - come sottolineato dalla sentenza n. 223 del 2012 - normalmente «migliore» rispetto al trattamento di fine rapporto disciplinato dall'art. 2120 del codice civile, per cui il fatto che il dipendente - che (in conseguenza del ripristinato regime ex art. 37 del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1032) ha diritto all'indennita' di buonuscita - partecipi al suo finanziamento, con il contributo del 2,50% (sull'80% della sua retribuzione), non integra un'irragionevole disparita' di trattamento rispetto al dipendente che ha diritto al trattamento di fine rapporto. Nonostante la vigenza delle norme piu' sopra citate, la Regione Emilia-Romagna aveva ritenuto di adottare una propria disciplina sull'indennita' di fine servizio con la legge regionale 14 dicembre 1982, n. 58 recante «Omogeneizzazione del trattamento di previdenza del personale regionale. In virtu' della legge in esame, la Regione riconosceva ai propri dipendenti e ai loro aventi causa, per ogni anno di servizio, un'integrazione al trattamento previdenziale, al fine di ricondurlo all'1/12 dell'80% dell'ultima retribuzione mensile lorda, sul modello dell'indennita' di buonuscita riconosciuta ai dipendenti statali, partendo dall'1/15 dell'80% della media delle retribuzioni degli ultimi 12 mesi di servizio riconosciuto a titolo di TFS (ex INADEL). Costituiva presupposto per beneficiare dell'istituto l'aver prestato almeno un anno di servizio a favore della Regione. Anche dopo la riforma del titolo V, con l'art. 15, comma 3, della legge regionale 30 aprile 2015, n. 2 recante «Disposizioni collegate alla legge finanziaria per il 2015» il legislatore regionale, a fronte dell'introduzione del trattamento di fine rapporto (TFR) per tutti i dipendenti pubblici assunti successivamente al 1° gennaio 2001, era intervenuto, abrogando la l.r. n. 58 del 1982, facendone pero' salva l'applicazione ai dipendenti che prima dell'entrata in vigore delle nuove disposizioni (1° maggio 2015), avessero maturato il requisito di un anno di servizio presso l'amministrazione regionale previsto dalla stessa legge regionale. Da ultimo, mediante l'art. 8 della legge regionale 29 luglio 2016, n. 13 recante «Disposizioni collegate alla legge di assestamento e seconda variazione generale al bilancio di previsione della Regione Emilia-Romagna 2016-2018», l'assemblea legislativa regionale e' intervenuta nuovamente, fornendo un'interpretazione autentica dell'art. 15, comma 3, della legge regionale n. 2 del 2015: precisando quindi che, trattandosi di norma abrogativa, il concetto di dipendenti ivi previsto non Includeva i collaboratori regionali il cui rapporto di lavoro si era instaurato successivamente all'entrata in vigore della l.r. n. 2 del 2015, ma si riferiva esclusivamente a coloro che avevano maturato i requisiti per godere del TFS ex l.r. n. 58 del 1982 al momento dell'abrogazione stessa. In virtu' dell'interpretazione autentica cosi' adottata, la clausola di salvaguardia introdotta con la l.r. n. 2 del 2015 si doveva, pertanto, applicare a coloro che risultavano gia' dipendenti regionali al 1° maggio 2015 e con almeno un anno di servizio al 30 aprile dello stesso anno. 6.2.2. Le norme regionali della cui legittimita' costituzionale si dubita si appalesano in contrasto con l'art. 117, secondo comma, lettera o), della Costituzione, nella parte in cui riconoscono il trattamento di fine servizio citato che svolge nel contempo anche una funzione previdenziale, pur conservando, per quanto sopra detto, la natura di retribuzione differita. Dopo la riforma del titolo V, e' principio pacifico quello secondo cui residua solo in capo al legislatore statale nell'esercizio della sua discrezionalita' (Corte costituzionale, sentenza n. 244/2014), la possibilita' di stabilire che alcuni dipendenti delle pubbliche amministrazioni godano del trattamento di fine servizio ed altri del trattamento di fine rapporto. Inoltre, tale trattamento si' riverbera e ridonda sulle risorse iscritte a bilancio, in quanto - come avviene nella fattispecie-l'amministrazione regionale individua come detto appositi fondi dedicati a compensare tale migliore trattamento. 6.2.3. Quanto al profilo previdenziale afferente al parametro dell'art. 117, secondo comma, lettera o), Costituzione non e' dubitabile in primo luogo la natura giuridica del trattamento di fine servizio, il cui carattere di retribuzione differita avente natura previdenziale discende dal finanziamento attraverso contributi distinti fra datore di lavoro e lavoratori: esso si differenzia in cio' dal TFR, che invece consiste in un accantonamento di una quota di stipendio, rivalutato poi all'atto della cessazione del rapporto di lavoro. La Corte di Cassazione, sezione Lavoro, con ordinanza n. 7655 del 19 marzo 2019, ha da ultimo ribadito che la natura giuridica previdenziale e' determinata dal dato strutturale di un'obbligazione posta a carico ad opera di disposizioni inderogabili di legge, non del datore di lavoro, ma di enti gestori, appunto, di forme obbligatorie di previdenza e assistenza, che sono finanziati mediante versamento di contributi (a carico dei soggetti del rapporto di lavoro): obbligazione che, di conseguenza, non e' inerente al rapporto di lavoro, ma al distinto, rapporto previdenziale di cui il primo rappresenta soltanto il presupposto. In tema di previdenza l'orientamento della Corte costituzionale e' stato omogeneo nel corso degli anni, nella chiara affermazione della esclusiva competenza statale in materia. Con la sentenza n. 98 del 2013, la Corte ha censurato il legislatore regionale per il fatto di richiamare ed utilizzare «del tutto impropriamente istituti tipici di previdenza sociale, congegnati dallo Stato (nell'esercizio della sua competenza esclusiva) per soddisfare altre finalita'»: essa ha contestualmente ribadito che solo lo Stato puo' estendere l'ambito soggettivo e/o oggettivo di applicazione di disposizioni che rientrano in materie di competenza legislativa esclusiva statale, tra cui specificamente quello della previdenza sociale. Tale principio era gia' stato affermato nella sentenza n. 325 del 2011, che preclude l'ipotizzata estensione dell'ambito di applicazione della disciplina previdenziale statale relativa al personale delle pubbliche amministrazioni ai dipendenti pubblici nominati assessori regionali, in quanto «non spetta alla legislazione regionale disporre una equiparazione del trattamento previdenziale degli assessori regionali non consiglieri con quello degli assessori che ricoprano la carica di consigliere. Ove tale equiparazione fosse effettuata con legge regionale, come nel caso in esame, non solo si avrebbe una lesione della competenza legislativa esclusiva dello Stato, ma si determinerebbero difformita' nella disciplina del trattamento previdenziale dei dipendenti pubblici da una regione all'altra». Il richiamo alla necessita' di una disciplina necessariamente unitaria e' presente anche nella sentenza n. 189 del 2011, in merito all'equiparazione, ai fini contributivi, al lavoro subordinato del servizio prestato in via precaria dal personale assunto per chiamata fiduciaria nelle segreterie particolari degli amministratori regionali: tale disposizione, nell'attribuire ad un rapporto di lavoro essenzialmente precario una qualificazione di lavoro subordinato, ai fini pensionistici, incide in modo chiaro nella materia della «previdenza sociale» che, in base a quanto disposto dall'art. 117, secondo comma, lettera o), Costituzione, rientra nella competenza esclusiva dello Stato. Occorre richiamare anche la sentenza n. 244/2014, la quale, esprimendosi in merito al differente calcolo del TFR (valevole per i dipendenti assunti a far dal 1° gennaio 2001) rispetto al TFS, ha affermato che rientra nella discrezionalita' del legislatore (nella fattispecie, statale) la possibilita' di stabilire che alcuni dipendenti delle pubbliche amministrazioni godano del trattamento di fine servizio piu' favorevole di altri. Le norme regionali della cui legittimita' costituzionale si dubita si appalesano quindi in contrasto con l'art. 117, secondo comma, lettera o), della Costituzione, che riserva alla competenza legislativa esclusiva dello Stato fa materia della previdenza sociale, in quanto riconoscono una maggiorazione del trattamento di fine servizio, che ha carattere di retribuzione differita e natura previdenziale. Pare quindi insuperabile la competenza esclusiva dello Stato nella materia in esame, non possedendo la Regione Emilia-Romagna alcuna competenza nelle materie concernenti la previdenza e le assicurazioni sociali. Tale essendo il quadro normativa di riferimento, deve rilevarsene la sostanziale incompatibilita' con la competenza esclusiva dello Stato in materia di previdenza sociale. Conseguentemente, le predette considerazioni concernenti le disposizioni introdotte dalla legge regionale n. 58/1982, legge regionale n. 2/2015 e legge regionale n. 13/2016 evidenziano il dubbio di non manifesta infondatezza delle medesime disposizioni in relazione all'art. 117, secondo comma, lettera o), della Costituzione, che riserva alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la materia della previdenza sociale. Occorre poi rilevare come per i dipendenti in regime di TFS, la disciplina della prestazione debba essere considerata oggetto di riserva di legge, come confermato da un'ormai consolidata giurisprudenza amministrativa ed ordinaria, a partire dalla sentenza della Cassazione Civile a Sezioni Unite n. 3673/1997 (la quale stabili' che nell'ipotesi in cui la contrattazione collettiva dovesse prevedere l'inclusione, ai fini dell'indennita' premio di servizio, anche di voci retributive ulteriori e diverse da quelle indicate nella disposizione di cui all'art. 11, restrittivamente interpretata, ha stabilito che il contrasto tra le disposizioni - collettiva e legislativa - non potrebbe che risolversi a favore di quest'ultima attesa la natura subprimaria della disciplina pattizia). 6.3. In secondo luogo, una volta acclarato che il trattamento di fine servizio, erogato ai dipendenti al termine del rapporto di lavoro, corrisposto a titolo di indennita' di liquidazione o di buonuscita, ha carattere di retribuzione differita e natura previdenziale, con contributi distinti fra datore di lavoro e lavoratori, diviene naturale inferire che le norme regionali menzionate, disciplinano un particolare aspetto della retribuzione dei dipendenti regionali: per tale profilo, incidono dunque sulla materia dell'«ordinamento civile», riservata alla competenza esclusiva dello Stato la cui regolamentazione deve essere uniforme su tutto il territorio nazionale. Nel caso di specie, si palesa pertanto in contrasto delle norme regionali censurate con i parametri costituzionali evocati ed in particolare con l'art. 117, secondo comma, lettera l) Costituzione. Infatti, analogamente a quanto disposto dalla sentenza Corte costituzionale 146/2019, «le norme regionali hanno introdotto la previsione di un nuovo trattamento economico (...) per il personale regionale che, oltre a non essere coerente con i criteri indicati dai contratti collettivi di comparto, e' innanzi tutto in contrasto con la riserva di competenza esclusiva assegnata al legislatore statale dall'art. 117, secondo comma, lettera l), Costituzione in materia di ordinamento civile. A questa materia, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis, sentenze n. 175 e n. 72 del 2017; n. 257 del 2016; n. 180 del 2015; n. 269, n. 211 e n. 17 del 2014), deve ricondursi la disciplina del trattamento giuridico ed economico dei dipendenti pubblici e quindi anche regionali, «retta dalle disposizioni del Codice civile e dalla contrattazione collettiva» nazionale, cui la legge dello Stato rinvia (sentenza n. 196 del 2018)». 6.3.1. Inoltre, il legislatore regionale non puo' sottrarsi, come peraltro gia' evidenziato dalla Corte costituzionale (cfr., ex multis, sentenza n. 61/2014), dal rispettare le norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica che impongono l'armonia con la Costituzione ed i principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica. In tale prospettiva, occorre dare il dovuto risalto e richiamare i «principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica» e le «norme fondamentali di riforma economico sociale della Repubblica» che hanno regolato fa materia in esame. Assumono quindi rilevanza le disposizioni rinvenibili nella legge 23 ottobre 1992, n. 421 (Delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanita', di pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale), secondo cui all'art. 2, comma 1, lettera o), «1. Il Governo della Repubblica e' delegato a emanare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge uno o piu' decreti legislativi, diretti al contenimento, alla razionalizzazione e al controllo della spesa per il settore del pubblico impiego, al miglioramento dell'efficienza e della produttivita', nonche' alla sua riorganizzazione; a tal fine e' autorizzato a: o) procedere alla abrogazione delle disposizioni che prevedono automatismi che influenzano il trattamento economico fondamentale ed accessorio, e di quelle che prevedono trattamenti economici accessori, settoriali, comunque denominati, a favore di pubblici dipendenti sostituendole contemporaneamente con corrispondenti disposizioni di accordi contrattuali anche al fine di collegare direttamente tali trattamenti alla produttivita' individuale e a quella collettiva ancorche' non generalizzata ma correlata all'apporto partecipativo, raggiunte nel periodo, per la determinazione delle quali devono essere introdotti sistemi di valutazione e misurazione, ovvero allo svolgimento effettivo di attivita' particolarmente disagiate ovvero obiettivamente pericolose per l'incolumita' personale o dannose per la salute; prevedere che siano comunque fatti salvi i trattamenti economici fondamentali ed accessori in godimento aventi natura retributiva ordinaria o corrisposti con carattere di generalita' per ciascuna amministrazione o ente; prevedere il principio della responsabilita' personale dei dirigenti in caso di attribuzione impropria dei trattamenti economici accessori». In particolare, il successivo art. 2, comma 2, ha operato una espressa qualifica delle disposizioni recate dal testo di legge e dai relativi decreti delegati, imponendone la natura di «principi fondamentali» (ai sensi dell'art. 117 della Costituzione, testo previgente) e di «norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica». Testualmente cosi' recita l'articolo: «2. Le disposizioni del presente articolo e dei decreti legislativi in esso previsti costituiscono principi fondamentali ai sensi dell'art. 117 della Costituzione». Parimenti, l'art. 1, comma 3, del decreto legislativo n. 165/2001, attuativo del citato art. 2 della legge n. 421/1992, e dell'art. 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59, afferma che «Le disposizioni del presente decreto costituiscono principi fondamentali ai sensi dell'art. 117 della Costituzione. Le Regioni a statuto ordinario si attengono ad essi tenendo conto delle peculiarita' dei rispettivi ordinamenti». Dalla sintetica ricostruzione effettuata, emerge e discende di tutta evidenza che le contestate disposizioni regionali, oltre ad aver preteso di disciplinare una materia di esclusiva competenza statale (ordinamento civile), hanno pure violato norme statali le cui disposizioni costituiscono principi fondamentali ai sensi dell'art. 117 della Costituzione. 6.3.2. Inoltre, proprio perche' il trattamento di fine servizio e' normalmente «migliore» rispetto al trattamento di fine rapporto disciplinato dall'art. 2120 del codice civile (sentenza n. 223 del 2012), le disposizioni statali citate al paragrafo precedente e testualmente qualificate, come visto, «principi fondamentali» e «norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica», paiono idonee a determinare la violazione dell'art. 3 della Costituzione (principi di uguaglianza e ragionevolezza), delle norme regionali qui oggetto di esame, nella parte in cui prevedono un emolumento per i dipendenti della Regione Emilia-Romagna che non pare essere attribuito ai dipendenti pubblici del restante territorio nazionale, quanto meno non per disposizione statale. Non puo' sfuggire, e anzi qui lo si vuole rammentare, che la Consulta ha piu' volte affermato (tra le varie, Corte costituzionale, sentenza n. 151/2010) che la disciplina del rapporto di lavoro del dipendente pubblico, anche regionale - ora contrattualizzato, rientrante appunto nella materia dell'ordinamento civile, e' tesa ad evitare ingiustificate disparita' di trattamento tra i dipendenti di diversi soggetti pubblici datoriali, e deve essere «uniforme sul territorio nazionale e imporsi anche alle Regioni a statuto speciale». Va da se' che tale esigenza di uniformita' trae spunto dall'espressa previsione contenuta nell'art. 1, comma 3, del decreto legislativo n. 165/2001, secondo la quale «Le disposizioni del presente decreto costituiscono principi fondamentali ai sensi dell'art. 117 della Costituzione. Le Regioni a statuto ordinario si attengono ad esse tenendo conto delle peculiarita' dei rispettivi ordinamenti». Orbene, nel disciplinare la conservazione, seppur alle condizioni temporali indicate dalle norme regionali oggetto di scrutinio, da parte del dipendente pubblico di tale indennita' di fine servizio, le medesime norme regionali si pongono in contrasto con i principi fondamentali dell'ordinamento e le ora menzionate «norme fondamentali». 6.3.3. Ancora, con riferimento all'art. 2 della legge n. 421/1992, e all'art. 11, comma 4, della legge n. 59/1997, ed al conseguente art. 7, comma 5, del decreto legislativo n. 165/2001 in base al quale «Le amministrazioni pubbliche non possono erogare trattamenti economici accessori che non corrispondano alle prestazioni effettivamente rese» come ben rilevato dalle Sezioni riunite di controllo per il T.A.A., nell'ordinanza piu' volte citata, «va evidenziato che lo Stato, ponendo i basilari fondamenti normativi per coordinare la finanza pubblica (art. 117, terzo comma, Costituzione) - incluse le norme generali sui trattamento economico dei pubblici impiegati - sia titolare della relativa potesta' proprio al fine dell'esercizio della suddetta funzione di coordinamento finanziario, anche in chiave di controllo ed indirizzo degli effetti economici derivanti dalle norme in tema di finanza pubblica». 6.4. Ad avviso di questo Collegio, le norme censurate con la presente ordinanza si pongono altresi' in contrasto con il principio della proporzionalita' della retribuzione rispetto «alla quantita' e alla qualita' dell'attivita' prestata» come sancito dall'art. 36, primo comma, Costituzione. La giurisprudenza, come detto, ha rimarcato come nel settore pubblico, le indennita' in esame presentano una natura retributiva (sentenza n. 243 del 1997, punto 2.3. del Considerato in diritto), avvalorata dalla correlazione della misura delle prestazioni con la durata del servizio che le attira nella sfera dell'art. 36 Costituzione (Corte costituzionale, sentenza n. 159/2019) e con la retribuzione di carattere continuativo percepita in costanza di rapporto (sentenza n. 106 del 1996, punto 2.1. dei Considerato in diritto): alla luce di cio', il concetto di giusta retribuzione di cui all'art. 36 della Costituzione, che, interpretato inizialmente come norma meramente programmatica, ha assunto negli anni una valenza di norma immediatamente precettiva, puo' avere una duplice lettura, ovvero nel senso di garanzia di uno standard minimo di retribuzione per il lavoratore, ma altresi' come fonte di un divieto di erogare nel rapporto di lavoro pubblico (la cui disciplina e' permeata dall'esigenza di un uso rigoroso del denaro della collettivita', in conformita' al canone costituzionale di economicita', efficienza ed efficacia dell'azione della pubblica amministrazione) incrementi retributivi sulla base di meri meccanismi automatici privi di ogni correlazione con l'attivita' effettivamente prestata. 6.4.1. D'altro canto, il principio di effettivita' delle prestazioni, quale corollario del valore costituzionale di proporzionalita' della retribuzione espresso dall'art. 36 Costituzione, costituisce una prescrizione generale e di palese evidenza che crea un nesso inscindibile di corrispettivita' tra le funzioni rese e la retribuzione delle stesse. Detto principio viene recepito, come gia' visto, a livello di legislazione statale dall'art. 7, comma 5, del decreto legislativo n. 165/2001, che si configura come norma interposta, secondo cui: «Le amministrazioni pubbliche non possono erogare trattamenti economici accessori che non corrispondano alle prestazioni effettivamente rese». 6.5. La Sezione dubita inoltre della compatibilita' delle disposizioni regionali con l'art. 119 letto in combinato disposto con l'art. 117, terzo comma, della Costituzione. Si evidenzia al riguardo che lo Stato, ponendo i basilari fondamenti normativi per coordinare la finanza pubblica, incluse le norme generali sul trattamento economico dei pubblici impiegati, e' titolare della relativa potesta' proprio al fine dell'esercizio della suddetta funzione di coordinamento finanziario, anche in chiave di controllo ed indirizzo degli effetti economici derivanti dalle norme in tema di finanza pubblica. Il legislatore statale e' dunque chiamato a porre in essere strumenti efficaci di coordinamento e controllo di tutte le componenti della finanza pubblica, che, senza pregiudicare l'autonomia degli enti territoriali, assicurino tuttavia un'evoluzione delle entrate e delle spese (ivi compresa, soprattutto, la spesa in tema di personale) coerente con gli obiettivi che il Governo e il Parlamento hanno fissato negli strumenti di programmazione economico-finanziaria a livello nazionale e comunitario. Nel caso di specie, infatti, la Regione Emilia-Romagna, con le leggi in esame, ha incrementato la spesa pubblica in tema di personale, spesa che, secondo la giurisprudenza costituzionale, non e' minuta voce di dettaglio delle spese, ma si presenta come fondamentale aggregato della spesa corrente (nello stesso senso, anche la Sezione regionale di controllo per la Campania, nell'ordinanza citata n. 25/2018 ed altresi' Corte costituzionale, sentenza n. 108/2011 ivi citata). In tal senso, emerge con ancor maggior vigore l'importanza che assume il controllo della spesa del personale al fine di conseguire obiettivi di finanza pubblica interni e comunitari. Dunque, le relative disposizioni legislative statali assurgono a principio fondamentale, anche nel quadro dell'art. 117 Costituzione, atteso il carattere finalistico dell'azione di coordinamento della finanza pubblica (Corte costituzionale, sentenza n. 108/2011; cfr. anche la sentenza n. 217/2012 e la sentenza n. 61/2014). Dunque, se a livello statale sono state disegnate predeterminate regole per la fissazione del trattamento retributivo anche di fine rapporto, mediante istituti peculiari, e' evidente che tale meccanismo sia stato disegnato al fine della concreta realizzazione di quel coordinamento voluto dalla Costituzione ed intestato innanzitutto allo Stato e che lo stesso debba essere osservato da parte del legislatore regionale, posto che altrimenti la finalita' di coordinamento e controllo della spesa pubblica sarebbe frustrata. 6.6. Incidendo in due materie di competenza esclusiva statale, quali la previdenza sociale e l'ordinamento civile (articoli 3, 36, 117, secondo comma, lettere o) e l), Costituzione) la normativa censurata pone in essere una lesione per ridondanza dei parametri finanziari di cui agli articoli 81, 97, 119 Costituzione. Quanto al collegamento funzionale, nel presente giudizio, degli art. 81 e 117, secondo comma, lettera l), Costituzione e' utile ricordare come, «[s]econdo la costante giurisprudenza costituzionale, a seguito della privatizzazione del pubblico impiego, la disciplina del trattamento giuridico ed economico dei dipendenti pubblici - tra i quali, ai sensi dell'art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), sono ricompresi anche i dipendenti delle Regioni - compete unicamente al legislatore statale, rientrando nella materia «ordinamento civile» (ex multis, Corte costituzionale, sentt. n. 196/2018; 175 e n. 72/2017; n. 257/2016; n. 180/2015; n. 269, n. 211 e n. 17/2014)». Analogo rapporto si verifica con la materia della previdenza sociale, poiche' le somme indebitamente erogate dagli enti territoriali resistenti costituiscono la base delle ulteriori disposizioni che ne statuiscono la pensionabilita' e i relativi oneri a carico degli enti datori di lavoro (Corte costituzionale, sentenza n. 138/2019). Ne' si puo' dare ingresso a una diversa interpretazione delle norme qui evocate, in quanto la indiscutibile formulazione letterale della norma dell'art. 15, comma 3, della legge regionale 30 aprile 2015, n. 2 non esclude ed anzi sembra consentire senz'altro un'inammissibile interpretazione estensiva degli istituti previdenziali in esame a favore anche dei dipendenti assunti sino al 1° maggio 2015 e soggetti al regime di TFR, dilatando la componente vincolistica di spesa cui occorre invece dare effettivo contenimento. 7. Le medesime norme regionali paiono, inoltre, essere in contrasto rispetto ai parametri costituzionali degli artt. 3, 36 e 117, secondo comma, lettera l) e o), Costituzione. 7.1. Si dubita in particolare della reale portata di legge di interpretazione autentica della l.r. n. 13/2016. Al di la' dell'espressa rubrica dell'art. 8 della predetta legge, non sussistevano le condizioni necessarie a giustificare l'adozione di una norma di interpretazione autentica, appalesandosi il reale scopo del legislatore quale quello di salvaguardare l'assetto preesistente rendendo «retroattivamente legittimo cio' che era illegittimo» (Corte costituzionale, sent n. 209/2010, punto 7 del Considerato in diritto). Occorre ricordare qui i limiti all'efficacia retroattiva di tali leggi, limiti che il giudice di legittimita' costituzionale definisce come «valori di civilta' giuridica», quali «il rispetto del principio di ragionevolezza che ridonda nel divieto di introdurre ingiustificate disparita' di trattamento; la tutela dell'affidamento legittimamente sorto nei soggetti quale principio connaturato allo Stato di diritto; la coerenza e la certezza dell'ordinamento giuridico; il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario» (Corte costituzionale n. 397/1994; nello stesso senso, piu' di recente, Corte costituzionale n. 69/2014, n. 308/2013 e n. 103/2013). 8. Infine, quanto alla valutazione delle ulteriori condizioni di costituzionalita' facenti capo alla Sezione, non appare possibile una lettura «costituzionalmente orientata» della norma stessa, in considerazione del chiaro ed ineludibile disposto precettivo contenuto nella normativa di cui la Regione ha fatto applicazione per l'appostamento in bilancio del Fondo predetto e di cui fa Sezione ha avuto modo di rilevare l'allocazione contabile. L'indicata criticita' e' stata rappresentata dalla Sezione alta Regione nel corso dell'udienza camerale, svoltasi l'8 luglio 2019, con la partecipazione della Procura regionale, e rappresentata poi nel corso dell'udienza del 24 luglio. Similmente a quanto gia' evidenziato dal Collegio campano nella sua ordinanza di rinvio alla Corte costituzionale (n. 25 dell'8 ottobre 2018), appare anche «nel caso di specie preclusa in nuce la possibilita' di dare al testo legislativo de quo un significato compatibile con i richiamati parametri costituzionali, in quanto la sola possibilita' di lettura delle norme regionali denunciate, e' nel senso che con esse e' stato costituito ed alimentato in modo illegittimo - id est, nel caso di specie, contrarlo alle regole generali di contabilita' pubblica» un fondo per il trattamento di fine servizio del personale dipendente della Regione Emilia-Romagna, «perche' contrastante con la riserva assoluta di legge statale nella materia dell'ordinamento civile, (...). Non si e', dunque, in presenza di una pluralita' di interpretazioni possibili, tra le quali scegliere quella che conduce ad un risultato ermeneutico costituzionalmente compatibile, ricusando le altre; bensi' di un articolato normativa inequivoco, sia per l'ambito ordinamentale (quello civile) in cui esplica la sua azione, sia per l'oggetto della disciplina recata, (...) costituito ed alimentato «al di fuori» delle fonti normative costituzionalmente prescritte». Lo stesso dettato normativo si appalesa in contrasto con la riserva di legge statale in materia previdenziale, per i motivi piu' sopra riportati. 9. Il Collegio remittente, tenuto conto della piu' recente giurisprudenza costituzionale, che, in occasione del giudizio di parificazione del rendiconto regionale, ha esteso la legittimazione della Corte dei conti a sollevare questione di legittimita' costituzionale anche per i profili concernenti il riparto delle competenze legislative Stato-Regione di cui all'art. 117, secondo comma, Costituzione, con ridondanza su parametri finanziari (Corte costituzionale nn. 146 e 138/2019; 196/2018), valuta di non poter dare applicazione alle norme regionali di cui si sospetta l'illegittimita' costituzionale e, conseguentemente, di non poter parificare i capitoli di spesa richiamati, sospendendo, in parte qua, il relativo giudizio di parificazione in attesa della pronuncia della Corte costituzionale. 9.1. Come sottolineato dalla Corte costituzionale, «l'istituzione dei nuovi fondi, prevista dalle norme regionali in violazione della competenza legislativa esclusiva statale, ha determinato, quale inevitabile conseguenza, un aggravio della spesa per il personale regionale che, «per la sua importanza strategica, [costituisce] non gia' una minuta voce di dettaglio nei bilanci delle amministrazioni pubbliche, ma un importante aggregato della spesa di parte corrente» (fra le altre, sentenza n. 108 del 2011). Tale spesa, non autorizzata dal legislatore statale (...), non puo' trovare, per cio' stesso, legittima copertura finanziaria. Essa incide negativamente sull'equilibrio dei bilanci e sulla sostenibilita' del debito pubblico, in violazione degli articoli 81 e 97, primo comma, Costituzione» (Corte costituzionale, sentenza n. 146/2019), Il nesso funzionale che connette la violazione della competenza statale sia in materia di «previdenza sociale» che in materia di «ordinamento civile» con la tutela del bilancio inteso quale bene pubblico viene in rilievo in modo netto nello specifico caso sottoposto al vaglio di questa Corte (Corte costituzionale, sentenza n. 146/2019). 9.2. L'anzidetta connessione appare desumibile documentalmente in particolare relativamente al capitolo fondo U89360, con una dotazione pari ad euro 9.516.000,00 e al capitolo U04150, con iniziale stanziamento di euro 1.050.000,00, di cui euro 887.699,57 impegnati nel corso del 2018. Dalle acquisizioni istruttorie indicate supra, nella parte in fatto, la movimentazione di tali capitoli e' stata individuata come segue. Il capitolo U89360, nel corso del 2018, non ha fatto registrare movimentazioni, risultando, a fine esercizio, un accantonamento pari ad euro 9.516.000,00. Il capitolo U04150 fa registrare impegni per euro 887.669,57 e autorizzazioni di cassa per euro 835.781,18. 9.3. Ebbene, l'illustrata violazione competenziale ridonda in termini di lesione dei precetti contenuti nei parametri finanziari (articoli 81, 97 e 119 Costituzione), imponendo pertanto l'obbligo di rilevazione da parte di questa Corte. 9.4. Appare, pertanto, rilevante e non manifestamente infondata, la questione di' legittimita' costituzionale sollevata in rapporto agli articoli 3, 36, 81, 97, 117, secondo comma, lettera l) e o), e 119, primo comma, della Costituzione. Ne' osta a cio', stante il predetto vincolo di destinazione attribuito alle somme appostate nel capitolo Fondo n. U89360, il fatto che comunque il risultato di amministrazione della Regione Emilia-Romagna e' positivo, dal momento che «L'avanzo di amministrazione, infatti, non puo' essere inteso come una sorta di utile di esercizio, il cui impiego sarebbe nell'assoluta discrezionalita' dell'amministrazione. Anzi, l'avanzo di amministrazione «libero» delle autonomie territoriali e' soggetto a un impiego tipizzato, in cui non rientrano dazioni retributive e previdenziali non contemplate dalla legge» (Corte costituzionale sentenza n. 138/2019, punto 7.1 del Considerato in diritto). 10. Ulteriore profilo di dubbio di legittimita' costituzionale riguarda gli articoli 1 e 8 della legge regionale 14 dicembre 1982, n. 58 e l'art. 15, comma 3, della legge regionale 30 aprile 2015, n. 2 in relazione all'art. 81, terzo comma, Costituzione, nella parte in cui, per un verso, detti articoli omettono di prevedere alcun mezzo di copertura dell'onere dalle stesse previsto (art. 1, l.r. n. 58/1982 e 15, comma 3, l.r. n. 2/2015), limitandosi a rinviare la provvista alle previsioni di bilancio (art. 8 l.r. n. 58/1982) e, per altro verso, presentano un'insufficiente quantificazione dell'onere per il primo anno (art. 8, l.r. n. 58 del 1982), poiche' non supportata da alcuna documentazione tecnica a corredo, e un'assenza di quantificazione dell'onere per gli anni successivi (art. 8, l.r. n. 58 del 1982 e art. 15, comma 3, l.r. n. 2 del 2015). 10.1. Quanto al primo profilo, sia gli articoli 1 e 8 della legge n. 58 del 1982 che l'art. 15, comma 3, della legge n. 2 del 2015 non indicano alcun mezzo di copertura, rimettendo la provvista delle risorse finanziarie alla legge di bilancio (l'art. 8 della legge n. 58 del 1982, cosi' dispone: «All'onere derivante dall'applicazione della presente legge, previsto per l'esercizio 1983 in L. 350.000.000, l'amministrazione regionale fa fronte mediante l'istituzione di un apposito capitolo nello stato di previsione della spesa del bilancio per l'esercizio finanziario 1983 e lo storno di pari importo del fondo di riserva per le spese obbligatorie di cui al Cap. 85100 dello stesso esercizio. Per gli anni successivi al 1983 lo stanziamento di spesa sara' determinato annualmente dalla legge regionale di bilancio a norma dell'art. 11, comma 1, della legge regionale 6 luglio 1977, n. 31, in ragione del prevedibile andamento delle collocazioni a riposo del personale interessato.»; l'art. 15, comma 3, cosi' dispone: «La legge regionale 14 dicembre 1982, n. 58 (Omogeneizzazione del trattamento di previdenza del personale regionale), e' abrogata. Resta salva la sua applicazione ai dipendenti che abbiano maturato, prima dell'entrata in vigore della presente legge, il requisito di un anno di servizio di cui all'art. 1, comma terzo della legge regionale n. 58 del 1982.»); tale modalita' di copertura non e' pero' prevista tra quelle tipicamente - con esplicito carattere di esclusivita', il tutto in attuazione dell'art. 81 Costituzione - indicate nell'art. 17 della legge n. 196 del 2009, applicabile alle Regioni in base all'art. 19, comma 2, della stessa legge (Corte costituzionale, sentt. n. 26/2013; n. 115/2012). Difatti, le norme di legge in questione omettono completamente di indicare la copertura dell'onere dalle stesse recato (peraltro non quantificato se non per il primo anno), copertura naturalmente da calibrare in relazione al profilo temporale (e quindi anche morfologico) dell'onere medesimo (art. 30, comma 6, legge n. 196 del 2009); e cio' in contrasto anche con la giurisprudenza costituzionale secondo la quale la copertura, oltre a dover essere credibile, sufficientemente sicura, non arbitraria o irrazionale (sentenze n. 238/2018; n. 70/2012, nn. 106 e 68/2011, n. 141 e n. 100/2010, n. 213/2008, n. 384/991 e n. 1/1966), deve essere anzitutto contestuale all'onere, anche in riferimento all'evolversi di quest'ultimo nel tempo per esercizio. 10.1.1. A quest'ultimo riguardo, va evidenziato come la citata normativa regionale si ponga, pertanto, in contrasto con il requisito della necessaria «contestualita'» tra previsione dell'onere e apprestamento della correlata copertura finanziaria, laddove tanto l'art. 8 della legge regionale n. 58 del 1982 quanto l'art. 15, comma 3, della legge regionale n. 2 del 2015, nel prevedere i predetti oneri di' spesa, rinviano alla provvista dei mezzi per farvi fronte con la legge di bilancio. Sul punto, vale ricordare che la Corte costituzionale ha piu' volte ribadito che «l'art. 81, quarto [ora terzo» comma della Costituzione pone il principio fondamentale della copertura delle spese, richiedendo la «contestualita'» tanto dei presupposti che giustificano le previsioni di spesa quanto di quelli posti a fondamento delle previsioni di entrata necessarie per la copertura finanziaria delle prime» (sentt. n. 197/2019, punto 4.2. del Considerato in diritto; n. 213/2008). 10.1.2. Deve aggiungersi che, in tema di copertura degli oneri, la Corte costituzionale ha ritenuto - conseguentemente al principio della contestualita' - che non puo' essere consentita la cd. «copertura ex post», in quanto quest'ultima non corrisponde all'affermata congruita' delle risorse impiegate per la specifica finalita' dell'equilibrio (Corte costituzionale, sentenza n. 26/2013). 10.1.3. A conferma dell'inammissibilita' del riferimento ai successivi bilanci per risolvere il problema di copertura, va ricordato che il bilancio a legislazione vigente e' il presupposto, il consolidato da non peggiorare con la nuova decisione onerosa di cui alla norma primaria; il nuovo o maggiore onere di cui alla singola norma onerosa approvata successivamente al bilancio non deve dunque gravare In senso peggiorativo su quest'ultimo, esigendo, di conseguenza, un'apposita autonoma e contestuale copertura. L'attuale terzo comma dell'art. 81 Costituzione costituisce dunque tutela ex post dell'equilibrio di cui al primo comma fissato con la legge di bilancio, il che conferma che esso continua a riferirsi propriamente a leggi diverse da quella di bilancio (sottoposta a sua volta ad altri vincoli), ossia alle leggi ordinarie onerose, quali quelle regionali oggetto di scrutinio (cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 70/2012). 10.1.4. Va, peraltro, considerato che l'originario art. 11, comma 1, della legge regionale 6 luglio 1977, n. 31 - al quale l'art. 8, comma 2, della l.r. n. 58 del 1982 fa rinvio - risulta essere stato abrogato dall'art. 74, comma 1, lettera b), l.r. 15 novembre 2001, n. 40 (Ordinamento contabile della Regione Emilia-Romagna, abrogazione della L.R. 6 luglio 1977, n. 31 e della L.R. 27 marzo 1972, n. 4), e sostituito dal vigente art. 37 della medesima l.r. n. 40 del 2001, disposizione che trova riscontro nell'art. 38, comma 1, del decreto legislativo 23 giugno 2011 e successive modificazioni, in base al quale «Le leggi regionali che prevedono attivita' od interventi a carattere continuativo o ricorrente determinano di norma solo gli obiettivi da raggiungere e le procedure da seguire, rinviando alla legge di bilancio la determinazione dell'entita' della relativa spesa». In realta', la norma, a sua volta, si limita a ricalcare l'analoga disposizione di cui all'art. 30, comma 6, primi due periodi, della legge di contabilita' statale n. 196 del 2009, riferita alle leggi ordinarie dello Stato (e dunque per relationem regionali), disposizione, a sua volta, del tutto coerente con l'ordinamento, a partire dai principi costituzionali di cui agli articoli 81 e 97, primi commi, Costituzione, e di cui va rimarcato il presupposto: in tanto e' possibile rinviare la quantificazione al bilancio degli oneri nel corso del tempo in quanto trattisi di onere di natura non obbligatoria. nel caso in esame cio' non accade e quindi trova piena applicazione il combinato disposto tra art. 17 e art. 30, comma 6, primo periodo, in base al quale la copertura di cui alla legge sostanziale deve seguire l'onere per singolo esercizio fino alla vigenza della legga medesima. Va tenuto conto che, nel rapporto tra legge ordinaria onerosa (nella specie le citate leggi regionali) e bilancio, fondamentale rimane sempre il tipo di vincolo che la prima imprime al secondo: cio' significa, per le leggi pluriennali di spesa, che la possibilita' di far riferimento ai bilanci futuri per individuare l'onere (e dunque la copertura) e' ammissibile alla sola condizione della piena flessibilita' dell'onere, sfruttando la quale gli strumenti di bilancio possono assolvere i propri obblighi di recare stanziamenti per dare attuazione alle leggi in vigore in coerenza pero' con i vincoli di finanza pubblica; ebbene detta condizione, in considerazione della tipologia dell'onere in questione, qui non ricorre, stante la predeterminazione ex lege del meccanismo che ne regola l'evoluzione (art. 1, l.r. n. 58 del 1982) configurando cosi' una tipologia di onere da classificare come inderogabile, in base ai parametri di cui all'art. 21, comma 5, lettera a), della legge di contabilita' nazionale. 10.1.5. Per le ragioni che precedono, sussiste dunque il dubbio di legittimita' costituzionale delle predette disposizioni delle leggi regionali per violazione dell'art. 81, terzo comma, Costituzione, non solo (in via di principio) per il passato, ma segnatamente pro futuro, stanti l'assenza di copertura finanziaria degli oneri dalle stesse recati ed il carattere vincolato di tali oneri, privi di quella flessibilita' e modulabilita' che costituiscono le condizioni per un rinvio alla legge di bilancio della relativa quantificazione (e quindi ai fini della relativa copertura). 10.2. Quanto al secondo profilo, va, in primo luogo evidenziato, come l'originaria formulazione della norma, che indicava l'onere finanziario per euro 350 milioni di lire (art. 8 della l.r. n. 58 del 1982), non risulta suffragata da una specifica quantificazione. Per gli anni successivi, il medesimo art. 8 della l.r. n. 58 del 1982 e il successivo art. 15, comma, 3 omettono qualsiasi quantificazione dell'onere, con cio' incorrendo nella lesione del descritto essenziale requisito della «contestualita'» tra onere e mezzi per farvi fronte e soprattutto dell'obbligo prioritario di indicare l'onere per singolo esercizio, non ricorrendone la natura flessibile, come prima evidenziato per altro verso, unica condizione per ritenere ammissibile la mancata indicazione dell'onere. 10.2.1. In tema di quantificazione degli oneri, si ricorda che la citata norma di cui all'art. 17 della legge n. 196 del 2009 considera attuativo dell'art. 81 Cast. anche l'obbligo di un'esplicitazione degli oneri nella singola disposizione legislativa, naturalmente secondo il parametro della veridicita', rispetto a cui e' infatti funzionale l'obbligo (parimenti previsto dall'art. 17 citato) in capo al Governo (nella specie della Giunta) di corredare le proposte normative con una relazione tecnica da cui si evinca la sostenibilita' dell'onere cosi' come riportato, e' evidente infatti che una quantificazione attendibile costituisce il presupposto per un assolvimento effettivo dell'obbligo di copertura, il che fornisce una spiegazione dei fatto che il richiamato art. 17 della legge n. 196 anzitutto imponga l'obbligo di riportare la quantificazione dell'onere e solo successivamente rechi l'elenco esclusivo delle modalita' di copertura ammesse. Invero, anche il legislatore regionale e' chiamato al rispetto dell'obbligo (art. 17, come si e' visto, richiamato dall'art. 19 della legge n. 196 del 2009) di redigere una relazione tecnica giustificativa degli stanziamenti di bilancio ed illustrativa delle modalita' dinamiche attraverso le quali qualsiasi sopravvenienza possa essere gestita in ossequio al principio dell'equilibrio del bilancio (Corte costituzionale, sentt. n. 26/2013; n. 313/1994). 10.2.2. Invero, a tale ultimo riguardo, come evidenziato al punto 2.16. del Ritenuto in fatto, la quantificazione dell'onere del primo anno, come ricostruita dall'Amministrazione regionale in occasione dei citati approfondimenti istruttori, appare comunque sottodimensionata, tenuto conto della latitudine applicativa della norma: complessivamente i dipendenti che, successivamente alla liquidazione da parte dell'Inps, possono fare richiesta dell'integrazione regionale, come quantificati dalla Regione in sede istruttoria, al 31 dicembre 2018, sono 1.683, di cui 1.498 dipendenti in servizio e 185 cessati. Tale quantificazione, effettuata nel settembre 2017 - precisa infine l'Ente - ha portato alla determinazione dell'importo dell'accantonamento stimato pari a euro 9.516.000,00. 10.2.3. In merito deve pero' rilevarsi come la quantificazione del Fondo possa ritenersi non corretta in difetto, in quanto, sulla base dell'inequivocabile e chiara formulazione letterale dell'art. 15, comma 3, della legge regionale, n. 2/2015 (che fa salva l'applicazione della legge regionale n. 58/1982 ai dipendenti in servizio al 1° maggio 2015, come interpretato dalla successiva legge regionale n. 13/2016), non puo' escludersi che l'integrazione in questione possa essere riconosciuta anche al personale in regime di trattamento di fine rapporto e dunque non soltanto al personale in regime di trattamento di fine servizio. 10.2.4. L'illustrata antinomia logica afferente la precisa individuazione della platea dei potenziali beneficiari, che emerge documentalmente dal raffronto, da un lato, tra i dati forniti dall'Amministrazione regionale (limitata solo ai dipendenti in regime di TFS) e, dall'altro, dalla surriferita indicazione normativa (che non sembra invece tollerare tali limitazioni, per essere estensibile anche al personale in regime di TFR), si riverbera in termini di violazione del citato precetto costituzionale (art. 81, terzo comma, Costituzione).